martedì 30 aprile 2013

aya sofia - day 4



Aya Sofia, Santa Sofia. La chiesa dedicata alla Divina Saggezza. La chiesa distrutta e ricostruita continuamente nell'arco dei secoli. Incendi, guerre, saccheggi, profanazioni, terremoti. E risorgeva, come l'araba fenice, ogni volta. Ogni volta rinasceva più grande, più ardita, più spettacolare. Chiesa, poi moschea ed infine museo.
Come spesso succede quando l'aspettativa è troppo alta o quando si conosce troppo qualcosa prima di vederlo, l'incontro con Aya Sofia è meno meravigliante di quanto avrebbe dovuto e potuto. Troppe foto, troppe piante, troppe righe di libri affollano la mia mente; troppe persone, troppe parole, troppe impalcature ingombrano lo spazio intorno a me.
Eppure si impara anche questo viaggiando. Soprattutto se in compagnia. Le reazioni spontanee che ci contraddistinguono da quando abbiamo memoria mutano e si adeguano. Attimi di repentina insofferenza possono senza motivo sciogliersi. Ed è, questa, una liberazione. Si torna liberi di guardare con occhi diversi cose che mai ci hanno interessato, si finisce per osservare da nuove prospettive situazioni conosciute.
I medaglioni con le scritte in arabo che campeggiano immensi sui pennacchi; la grande cupola traforata alla base come se non avesse peso; il mihrab, il minbar, la qibla; i trafori nei capitelli delle colonne in pietra, le gelosie nei divisori in legno e oro; i mosaici, tante volte visti sui libri, ed ora finalmente vibranti e splendidi; i lampadari che ricordano le altre moschee della città. E, come sempre, mi fermo ad immaginare come sarebbe dovuto essere all'epoca, per chi non avesse avuto altro che i racconti a tracciarne l'immagine, la scoperta di una tale grandiosità. Di tanta altezza, luce, spazio, oro, artigianato. Quanta suggestione doveva suscitare. 

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