venerdì 24 aprile 2009

inizi


A volte i cambiamenti sono così naturali e privi di scosse che non ti rendi conto in che momento preciso la tua vita abbia cominciato a cambiare binario. Come porte scorrevoli scivolano, scorrono di lato e poi te le ritrovi improvvisamente dove non ti aspettavi.
Gli aerei sono dei binari molto lisci, soprattutto quando la compagnia elimina quei momenti di silenzio e riflessione che ti permettono di chiudere nella testa un capitolo per aprirne uno nuovo.
Spostarmi dal luogo dove sono nato alla terra che sento come casa assomiglia molto più ad un ritorno che ad una partenza. Anche se le strade sono nuove e mai viste. E così gli edifici, la gente, i monumenti, i bar. Ma, scrollata di dosso questa patina di novità, quel che resta è il profumo di casa.
E le piccole noie di un nuovo inizio a poco valgono contro l’ostinata percezione del ritorno.

venerdì 17 aprile 2009

la stagione delle valige


Mi meraviglio di come le stesse situazioni si colorino diversamente negli anni.
Sono passati 3 anni da quando ho iniziato questo blog. E per l’ennesima volta sono di fronte ad una valigia aperta. Una valigia vuota, un passato certo ed un futuro possibile.
In questi anni ho riempito valige di rabbia, di speranza, di entusiasmo, di euforia e di delusioni. Le ho riempite in questa camera e dischiuse tra sconosciuti, scoprendo come ciò che si porta con sè non sempre è quello che si trova una volta aperte. Perchè quando si rinizia tutto è nuovo, compreso quello che hai con te, fuori e dentro.
Come uccelli migratori le mie valige tornavano ciclicamente ad aprirsi in Spagna, con una ostinazone della quale ancora non riesco a capacitarmi, quasi fossero loro a portare a spasso me.

Ora ripongo i miei pantaloni di lino tra una camicia e l’altra. E lì, in mezzo a tutte queste indispensabili controfigure, scopro con gioia il mio nuovo compagno di viaggio.
Si chiama Speranza.
Una calda sensazione che mi pervade, come sempre senza motivo né volto.

mercoledì 15 aprile 2009

tema: l'erba del vicino


In questi giorni di pranzi e banchetti, di ritorni dal nulla delle parentele e delle amicizie disperse, l’erba del vicino sembra effettivamente la più verde. Più rigogliosa e meglio coltivata. Sorride perfino.
Case, moto, sport, lavori, risate. Racconti, foto, musiche, vestiti.
È sempre più verde e non capisco dove stia l’errore.

giovedì 2 aprile 2009

la voce delle cose


Guardava la porta e sorrideva.
Pensava che tutto si fosse coalizzato contro di lui. O con lui.
Steso lì, sulla poltrona, a fissare lo sguardo senza interesse sulle immagini che scorrevano sullo schermo, ad attendere che i minuti passassero sul suo corpo. Si crogiolava in quelle ore notturne come una conquista, come se fossero solo sue. Sue e di nessun altro.
Poi gli capitò di lanciare uno sguardo distratto verso la porta e fu lì che la vide, la paradossale pantomima della sua vita. Proprio lì, appostata sull’uscio, ad attenderlo.
Fedele come un vecchio cane, la vita lo aspettava sulla porta. Era ora di portare a spasso le scarpe.

martedì 31 marzo 2009

a un passo dal mare


Chiudo la porta e porto a spasso il mio corpo nella notte. Un vento caldo mi incoraggia soffiandomi alle spalle, mi passa sulla testa, e porta con sé le grida scomposte di un qualche uccello notturno. Evidentemente non sono l’unico che non riesce a dormire stanotte.
I miei passi risuonano felpati in questa esposizione dell’assenza dell’uomo. Case a riposo, luci stradali a rischiarare il vuoto, stelle annoiate in attesa del mattino.
Il vento mi accompagna, come sempre, al mare. Le nuvole grigiastre ritagliano brandelli di cielo nero, mentre sotto il mare mi accoglie con fusa fragorose, con sorrisi di spuma. L’acqua sale al di sopra della passerella per le navi, infrangendosi e mandando alti spruzzi nell’aria. Poi si ferma, con onde elastiche, a breve distanza dai miei piedi.
E lì, cullati da quell’eterno fluire che lava le menti, da quel rumore bianco nel buio, i miei pensieri tornano a correre.
Non sarebbe nulla, in fondo, se la notte non trasformasse la solitudine in tristezza.

domenica 29 marzo 2009

la fabbrica


Non era neppure tanto lontano.
Si trovava alla fine del villaggio creato decenni prima da un gruppo di hippies europei. Avevano deciso di popolare le sponde del fiume senza urbanizzarle, godendo nello stesso modo dello splendore della natura e delle sue insidie. Avevano costruito abitazioni rozze ma accoglienti, assurde e divertenti. Colorate.
E fu proprio nelle menti di quel manipolo di pazzi che venne partorita questa assurdità.
Dare al cielo colore e alla terra sollievo. Un volto al vento e un riparo alla luce.

Là, dove il canale svoltava leggermente verso nord, nascosta dalla fitta vegetazione, proprio là si trovava la fabbrica.
La fabbrica delle nuvole.

martedì 24 marzo 2009

Enjoy the silence - Depeche Mode


Words like violence /Break the silence
Come crashing in /Into my little world
Painful to me /Pierce right through me
Can't you understand/ Oh my little girl

All I ever wanted /All I ever needed /Is here in my arms
Words are very unnecessary / They can only do harm

Vows are spoken /To be broken
Feelings are intense /Words are trivial
Pleasures remain /So does the pain
Words are meaningless /And forgettable

All I ever wanted /All I ever needed /Is here in my arms
Words are very unnecessary /They can only do harm

Enjoy the silence

grumi di male


A volte i pensieri si inceppano. Una sorta di indigestione mentale. Si raggrumano, contorcono, annodano. Si creano dei boli di incomprensione dietro la retina. E non ci sono parole che riescano ad esprimerli, non ci sono razionali spiegazioni che ci possano venire in aiuto.
Allora, a volte, è il corpo a parlare direttamente. Quando la lingua è inutile e il cervello resta stupido di fronte alla vita, allora, forse, la pelle può esprimere quel disagio che non ha logica. Lo scempio che facciamo di noi stessi, del nostro tempio, è questo che vuole affermare: il bisogno di cicatrizzare un dolore sulla pelle, di dare consistenza fisica a un grumo nero di incomprensibilità che ha sede solo dentro di noi.
Curiamo l’indigestione espellendo ciò che non è stato assimilato, vomitiamo angoscia e ne vogliamo portare i segni su di noi.

prima vera festa di sant'ellero


Usciamo dalla stazioncina e ci incamminiamo lungo la strada che si insinua sul pendio. Girata la curva, dietro un cartello con un elefantino rosso, ci appare la nostra meta, in tutta la sua iconica bellezza da Mulino Bianco.
La collina sale lieve davanti a noi, pettinata dai tanti rasta disciplinati della vigna. Al di sopra, sul crinale, illuminata dall’ultimo sole di una gelida giornata tardo-invernale, si affaccia la cascina. Come riesumata dall’immaginazione collettiva dei bambini che siamo stati, la cascina sembra incredibilmente bidimensionale, con il tetto a doppia falda e le quattro finestrelle al di sotto. Separato dal cortile si trova il fienile, un'altra casupola, un po’ più piccola. E alla sua destra, a completare il disegno, un albero. Uno solo, con la chioma alta e folta.
Qui vivono in 13. Ragazzi e ragazze che han deciso di abbandonare gli agi della città per tornare alla semplicità della vita comunitaria. Non ci sono recinti a proteggere la casa, non ci sono chiavi nelle porte. La vigna Frescobaldi costituisce l'ingresso al cortile. Non ci sono termosifoni. Ogni stanza è fornita di una stufa e la legna viene tagliata nel bosco che si trova al limite del campo.

Seduto in un angolo, col profilo leggermente arrossato dalla luce che illumina la parete, Martino sta leggendo. Sopra di lui, appeso, impiccato o consacrato come un dio pagano, sta il telaio di una bici da corsa. Una splendida carcassa cromata a pulita. A fare da quinta a tutto ciò è la polverosa e pietrosa stalla dove noi siamo seduti, alla rinfusa, su tronchi di legno, poltrone sfondate, sedie da campo. Il freddo entra dalla sbilenca porta in legno e dai vetri rotti della finestra. Una ragazza-donna apre una lattina di birra, mentre con l’altra mano sorregge un bambina di pochi mesi, avvolta nella sua salopette termica.

Poi Stefano si alza, prende la parola. È impacciato. Racconta brandelli di storia tentando di tracciare la deriva di una vita improvvisamente sfrattata e gettata in strada. Tentando di scrivere nelle nostre menti la traiettoria di 4 anni passati su un destriero meccanico per sottrarsi all’inumanità dei centri per i senza tetto. Vola, Stefano, sulla sua bici, con la sua casa appresso. Vola nei racconti senza sapere dove andrà a finire né cosa non dirà.

È l’ora della pizza. Di fronte al gigantesco forno a legna della rimessa i pizzaioli fanno il loro lavoro mentre la gente si raduna in attesa del cibo, fa la fila per il vino, si scalda di fronte al bidone di latta che brucia nel cortile, o intorno alla banda dei Fiati Sprecati.

mercoledì 18 marzo 2009

borse sotto gli occhi e valige dentro


Sarà l’età. Sarà che avevo cominciato a dare un ordine a un po’ di cose.
Sarà che ero praticamente certo di partire per i ghiacci e mi ritroverò ad arrostire nel deserto.
Sarà che le persone volute e conquistate è più difficile abbandonarle di quelle semplicemente incontrate.
Saranno tante cose.
Fatto sta che stasera uno strano gorgo vuoto mi gira intorno e chiede di essere saziato solo dal silenzio.
E già preparo le valigie nei miei occhi, carichi di addii. Così tanti che ormai stanno cominciando a perdere significato. Così tanti che ti fanno chiedere, poi, se abbia senso dire ogni volta addio.

mercoledì 11 marzo 2009

utopia del tempo libero


Non sono più la natura o la strada che costituiscono luoghi di divertimento popolare ma la televisione poiché, per la maggioranza delle popolazioni che abitano nelle città, il consumo visivo della natura esige dai più poveri spostamenti onerosi. Poiché gli spettacoli della televisione sono gratuiti, il loro consumo è senza limite, e il fatto che essi non implichino sforzo personale o collettivo dà loro un vantaggio enorme rispetto alle altre attività pubbliche gratuite che richiedono sforzi intellettuali. […] La diffusione massiccia dello spettacolo attraverso la televisione […] fa una grande concorrenza alle attività socializzanti.
[…] Non si tratta di rimpiangere il passato ma capire che non è per mancanza di tempo che gli individui non socializzano e restano solitari: è perché le tecniche ludiche disponibili esercitano la loro attrattiva sulle scelte individuali. Perché inventare e dar prova di spirito creativo quando un prodotto dà a domicilio l’illusione di vivere con il mondo?
[…] Uno spettacolo alla televisione è gratuito; un concerto, un posto al cinema, al teatro, un posto in uno stadio sono inaccessibili per coloro che hanno i redditi pià bassi poiché il mercato è il più efficace sistema di selezione del divertimento.
(Daniel Mothé – L’utopia del tempo libero)

acqua sulle pietre


La sveglia suona prima dell’alba. Ancora una volta. Mi vesto, prendo zaino e chitarra e sono fuori.
La stazione di Pordenone ci aspetta sotto una penombra che annuncia il mattino. Saliamo sul treno e inforchiamo i nostri lettori mp3. Apro il libro e mi affondo in una terra straniera, il Giappone di una ventina di anni fa. Fuori intanto il mondo cambia. Il sole sorge, le montagne lasciano il posto alla pianura, la nebbia padana mura il mondo dietro una cortina pesante. Tutto mi passa sopra come acqua sulle pietre.
Scendo alla stazione di Bologna. Compro un biglietto per il primo treno che porti verso sud, non importa quando. Il tempo non ha più significato quando si è in questa condizione. Il cervello ha smesso di giudicare continuamente ogni stimolo e tutto passa attraverso, come in una sorta di fitodepurazione del mondo. Quel che resta è una sensazione atemporale, un’euforia contenuta che sorvola tutte le preoccupazioni. La mente ancora intorpidita dal sonno, dalla musica e dal Giappone, ogni cosa galleggia senza peso in un mare di irresponsabilità.

giovedì 5 marzo 2009

a piedi nudi nel mondo


Improvvisamente, mentre leggo Murakami, mi rendo conto che quella che è sempre stata una mia mania, un delirio incosciente dei momenti di vuoto, si rivela essere uno strumento di conoscenza più profondo del previsto. Ne avevo il presentimento, però mai era stato così lucido.
Il mio vagare per le varie città, camminando da solo, è stato un modo per “conoscere”. Baricco diceva che i suoi personaggi misuravano il mondo col compasso preciso dei loro passi, e anch’io mi sono spesso sentito così. Macinare strade e selciati al di sotto delle suole è un’esperienza di una semplicità e radicalità estrema. Il cervello come una spugna pronto a recepire i segnali che il mondo comunica. A farsi trascinare dagli odori per i vicoli, dalle luci, dai colori, dalla vegetazione, dai suoni. È il modo in cui l’animale metropolitano riscopre che il mondo può essere interpretato secondo segnali che non sono necessariamente quelli convenzionali ed espliciti, le insegne e le indicazioni. L’istinto sopito interpreta e prefigura scenari. Torniamo ad essere predatori urbani, riconoscendo in piccoli dettagli la possibile presenza di realtà nascoste e insperate.
È come se i piedi, con il loro fagocitare traiettorie, conoscessero senza aver bisogno di una risposta cosciente del cervello. È una risposta animale, quella che registriamo. Quella che la logicità della civiltà, che sostituisce il mondo con la sua spiegazione, ci ha atrofizzato. Quella che i lettori mp3 rendono sorda. Che i cartelli rendono cieca. Che i fast food annichiliscono e i mezzi di trasporto rendono una melma indistinta costituita di costellazioni di interesse collettivo e riconosciuto.
E forse Christiania in questo ha avuto il suo ruolo fondamentale.

norwegian wood - murakami haruki

Una scrittura leggera ed eterea, come tende al vento primaverile.


Quello che lei cercava non era il mio braccio, ma il braccio di qualcuno. Quello che cercava non era il mio calore, ma il calore di qualcuno. Mi sentivo quasi in colpa a essere io a occupare quel posto.

A nessuno piace la solitudine. Ma non mi faccio in quattro per fare amicizia. Così evito un po' di delusioni

Sono troppo abituato a me stesso per voler cambiare.

sabato 21 febbraio 2009

muoiono


Li guardo in faccia sorridere. Ognuno con la sua vita nascosta trai lineamenti, nei suoi scherzi e nei suoi silenzi.
Poi, d’improvviso, cade il velo e quel che vedo mi gela il sangue. È sempre improvvisa una rivelazione.
Dai loro corpi si sfaldano i merletti della comicità, il trucco della socievolezza, le luci della compagnia. Li vedo lì, scheletri timorati, muoversi come marionette all’interno della trama di una vita senza scampo, dove il brivido del nuovo è un rantolo autoindotto. Si spostano sulla scena, squallidi copioni di macchiette già viste e mille volte raccontate in questi mille anni di letteratura. Sono anguille, vermi acquatici che cercano di divincolarsi dalle maglie strette della quotidianità. Sono batteri che hanno imparato ad assorbire dall’ambiente, trasformando una palude in casa. Sono il grido silenzioso e morente delle speranze odierne, dei desideri giovanili e dei sogni di bambini.
Lo guardo ancora più a fondo, questo spettacolo imbandito per me trai tavoli di una pizzeria. E riesco a dare un titolo alla comica tragedia. Normalità.

Qualcuno una volta disse che gli uomini vivono e non sono felici. Ma che questa è una condizione alla quale si adattano benissimo.

lunedì 16 febbraio 2009

stella


Non sono le parole a smuovere le convinzioni sedimentate e le illusioni più persistenti. Non i discorsi.
È il carisma di chi parla, gli occhi con cui interroga, i silenzi con cui comunica, l’entusiasmo che trasmette, che senza persuadere ci fa sentire uguali.
Come una Stella che improvvisamente si accende.

domenica 15 febbraio 2009

crepacci


Finché non succede.

Sbagliamo, creiamo crepe su di noi, fratture, e poi cerchiamo di riparare. Ma molto spesso ciò che è rotto non si può ricostruire e non resta che attendere che cicatrizzi.
Il tempo sedimenta la sua neve sui nostri errori, sui noi nostri crepacci, coprendoli e rendendoli sempre più invisibili. Soffice manto chiaro e intonso.
Finché non succede.
Può essere un soffio di vento, una giornata di primavera, una meraviglia. Può essere che lo specchio ci faccia vedere qualcosa che non vogliamo, che qualcuno ci mostri come siamo, che le nostre mani non ci appartengano più.
Può essere anche solo un ricordo, che ritorna dal fondo come un’eco inestinguibile, a far crollare la neve e riscoprire i nostri crepacci.

È proprio allora che capiamo che il tempo non risolve ciò che lasciamo sospeso.
E che certe grida, di vecchie ferite, non smetteranno mai di risuonare.

mercoledì 11 febbraio 2009

il nulla


Una lattiginosa aura circondava tutto quanto. Cercavamo di risalire, dal piovoso mondo al nuovo paradiso.
Salivamo sempre più, puntando verso l’alto in quel magma candido e filamentoso. I nostri occhi erano fissi, in attesa.
Poi quel grumo di umidità si diradò e potemmo vedere nuovamente più in là delle nostre ali. Ma il paesaggio non era ciò che ci aspettavamo.
Al di sotto si stendeva, piana e placida come un mare, la grande distesa delle nubi temporalesche, che ancora ruggivano la loro potenza verso la terra. Al di sopra però non si stendeva la salvifica cupola celeste, bensì una sorta di illusione apocalittica. Un altro strato di nubi, perfettamente allineate su se stesse e tese come un velo, nascondevano il cielo trasformando lo spazio restante in un inutile sandwich di nulla. Tra di esse non un colore, non un cielo in lontananza, non un profilo. Solo il grigio muto di una luce diafana e carica di elettricità. Se non fosse stato per le cinture che ci legavano ai sedili avresti detto di poter perdere il concetto di sopra e di sotto. Quale era mare e quale cielo, dal momento che né l’uno né l’atro erano visibili? Dov’era la terra? Cos’era quel tremendo nulla che ci avvolgeva?
Ma l’aereo non si fermò e salì fino a fendere anche quello strato, puntando sempre verso l’alto. Un’ulteriore bambagia eterea nascose le nostre ali al mondo.
Poi, finalmente, sulla carlinga tornò a splendere il sole. Dagli oblò la potevamo vedere fare il surf su quelle onde, come chi riemerga per respirare da un mare in tempesta. E, sopra, l’agognato celeste.

lunedì 2 febbraio 2009

selezione


L'uomo è un creativo parassita del mondo, ma ciò che cambia la vita, ciò che la perde e la riconquista, è donna.

La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate.

Io non sono schivo, semplicemente non vado nei posti che non mi piacciono. Sono selettivo.

Quando uno è triste non servono le classifiche, non c’è un tristometro, è inutile dire sto mediamente peggio di te o decisamente meglio di te, si diventa tutti ottusi ed egoisti e la propria tristezza diventa una grande campana in cui ci si chiude, per non ascoltare la tristezza degli altri.

(Stefano Benni - Achille Piè Veloce)

giovedì 29 gennaio 2009

Lua – Bright eyes


I know that it is freezing, but I think we have to walk
I keep waving at the taxis, they keep turning their lights off
But Julie knows a party at some actor's West side loft
Supplies are endless in the evening by the morning they'll be gone

When everything is lonely I can be my own best friend
I'll get a coffee and the paper, have my own conversations
with the sidewalk and the pigeons and my window reflection
The mask I polish in the evening by the morning looks like shit

And I know you have a heavy heart, I can feel it when we kiss
So many men stronger than me have thrown their backs out trying to lift it
But me I'm not a gamble, you can count on me to split
The love I sell you in the evening by the morning won't exist

You're looking skinny like a model with your eyes all painted black
Just keep going to the bathroom, always say you'll be right back
Well, it takes one to know one, kid, I think you've got it bad
But what's so easy in the evening by the morning's such a drag

I got a flask inside my pocket, we can share it on the train
And if you promise to stay conscious I will try and do the same
We might die from medication, but we sure killed all the pain
But what was normal in the evening by the morning seems insane

And I'm not sure what the trouble was that started all of this
The reasons all have run away, but the feeling never did

It's not something I would recommend, but it is one way to live
Cause what is simple in the moonlight by the morning never is

It was so simple in the moonlight now it's so complicated
It was so simple in the moonlight, so simple in the moonlight
So simple in the moonlight...