giovedì 3 settembre 2009

campi di grano - dia 2


Resta poca gente nello stanzone quando usciamo. I letti sono vuoti come se non ci fosse mai stato nessuno. In silenzio e nella penombra giallognola di una lampada lontana raccogliamo le nostre cose, le infiliamo alla cieca negli zaini e usciamo. Seduti su un tronco per allacciarci le scarpe veniamo invasi dall’aria fredda della mattina nascente. Il cielo che copre l’aia è ancora scuro e niente intorno sembra avere troppa voglia di svegliarsi. Ripercorriamo il sentiero che il giorno prima mi ha portato a Boadilla, questa volta in senso est-ovest, mentre il sole fa capolino lontano alle nostre spalle illuminando i pochi segni antropici del territorio: un trattore, una torre dell’acqua, i solchi regolari nei campi, le montagne ordinate di sofficini di fieno.
Visitiamo di sfuggita le chiese di Fromista, raccogliamo un piccolo uccellino caduto dall’albero, compriamo il pane appena sfornato e osserviamo con preoccupazione un cielo scuro e ventoso. Le previsioni dicono pioggia.

Gran parte del percorso corre al bordo di una strada asfaltata praticamente deserta se non fosse per i pellegrini in bicicletta che ci sfrecciano a fianco. Lenti e inesorabili i nostri passi si susseguono, uno dopo l’altro, macinando metri e poi chilometri. Il mondo torna dopo anni ad avere un tempo naturale, un tempo dettato dal compasso dei nostri piedi. Dall’orizzonte si staccano impercettibilmente scenari che ci si avvicinano con una lentezza impressionante, una mancanza di velocità che, invece che essere esasperante, ha tutta l’aria della naturalezza.
Tornare a vedere il giorno nascere e morire, muoversi nella luce del sole con una rapidità umana, scoprire cosa ci riserva il mondo nascosto poco più in là del nostro sguardo. Non sentire nessun suono, nessun rumore che non sia quello che il vento fa parlando nelle nostre orecchie, e quello che dentro di noi emette il nostro respiro. Lo scorrere dell’acqua nei canali, i giunchi che si piegano cigolando sotto la pressione dell’aria, un grido lanciato nell’aria da qualche uccello. La luce che cambia, sui campi, al passare delle nubi. E gli orizzonti che sembrano infiniti, mai esattamente piani, imperfettamente ondulati. Il cielo di un celeste pieno, corposo. E il colore del grano bruciato dal sole. I capelli a spazzola dei campi mietuti.

A Carriòn de los Condes non c’è posto per noi in albergo. Piantiamo la tenda nel camping che si trova lungo il fiume, proprio dove le colline si aprono e lasciano libero il vento di scorrazzare selvaggio. Il freddo è pungente. Prima notte vera e propria di cammino. L’equipaggiamento sembra già insufficiente. Infreddoliti mangiamo sul tavolo di pietra al bordo del fiume. Panini con tonno e pomodoro, qualche pesca. I piedi nudi che cercano sollievo dopo la lunga giornata di cammino vengono martoriati dall’aria gelida. E' ancora presto quando ci rintaniamo in 3 in una tenda da 2. Il sonno arriva rapido, consapevoli che la sveglia arriverà prima per noi che per il sole.

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