mercoledì 9 settembre 2009

Leon - dia 6

È quando mi stendo sul letto a sera che sento la stanchezza invadermi con un’arroganza strana. Circondato da 50 persone mentre un ventilatore cerca di far circolare un po’ di aria nello stanzone, con le finestre che sembrano i fori nelle mura di un castello. I piedi roventi, la testa pulsante, lo stomaco non risponde. Qualcosa non va.
Ripenso alla giornata passata. Ore sotto il sole rovente, le ombre che si nascondevano. Sete, tanta sete. Il lungo cammino dall’alba fino al pomeriggio, l’arrivo al monastero di Leon e la fila per conquistare il posto. E poi continuare a camminare per la città, scoprire quello che con fatica avevamo conquistato: le vetrate altissime della cattedrale, il palazzo in stile Fiabilandia di Gaudì, l’auditorium guercio di Mansilla e Tuñon, il MUSAC colorato e premiato. Forse gli ho chiesto troppo ed ora il fisico mi sta presentando il conto.
La notte è terribile. Un caldo strano mi brucia da dentro, inestinguibile; il ventilatore non porta nessun beneficio, anzi sembra soffiare sulle mie braci interiori ravvivandole. Le ore passano nel silenzio rumoroso dei pellegrini, fatto di gente che russa, parla, si muove, si alza. La sveglia dei vicini mi sorprende verso le 5 del mattino in un dormiveglia malato, con la testa bollente e lo stomaco rivoltato. Provo ad avvicinarmi al bagno ma barcollo, sudo, la nausea mi sbilancia. Mi ridistendo sul letto ansimante ad aspettare che i pellegrini scompaiano, mentre pian piano tento di riaffogare nel sonno. Riemergo a sprazzi, giusto in tempo per separarmi stordito dai miei compagni che se ne vanno con la promessa di rincontrarci alla prossima tappa.

E così dopo giorni e mesi, per non dire anni o tutta la vita, improvvisamente la solitudine diventa fattore di preoccupazione. Non so cosa succede al mio corpo, ma non sono autonomo, non sono in condizione di badare a me stesso. Sono in una città straniera, dove non conosco nessuno. Sono malato e non ho un posto dove dormire questa notte. Non voglio abbandonare il Cammino, ma in queste condizioni non posso uscire dal letto..
Per un istante la solitudine si trasforma in abbandono. E nostalgia per tutte quelle certezze che una casa e degli amici portano alla nostra vita. La sicurezza che qualcuno si prenderà cura di noi.

Ma è un attimo. Come sempre qualcuno arriva di sorpresa, da dove non ti aspetti, ad aiutarti.
Le suore mi preparano la colazione e mi regalano un maglione di lana. Insieme a due ragazzi raggiungo in bus febbricitante un paese a 40 km da Leon. “Insolazione e disidratazione” diagnostico insieme all’hospitalera del nuovo Albergue, che mi offre una bottiglia di un rimedio casalingo. Passo il pomeriggio tra sogni sconnessi a rigirarmi nel letto. Ogni tanto mi svegliano. I ragazzi mi preparano il pranzo, la cena e la colazione. Senza che io chieda niente. Finchè una nuova notte arriva, questa volta calma e serena.

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