mercoledì 30 settembre 2009

l'albero della saggezza - dia 10

La campana suona che è ancora notte. I corpi degli altri pellegrini si alzano (per quello che si riesce con 1 metro e 20 di altezza), fanno lo zaino ed escono. Raggiungo Will, Sasha e la loro amica che mi aspettano. Si dirigono verso il crinale e da lì guardiamo giù. La tempesta di ieri sera ha lasciato spazio ad un alba di nuvole basse sull’orizzonte.
Saluto gli altri ragazzi e comincio la discesa in solitario.

Ormai è giorno fatto quando vedo in lontananza Molinaseca. Mentre zampetto per raggiungere il primo villaggio della giornata degno di questo nome vengo trattenuto da una voce.
-Non ti fa male la caviglia?
Se non mi avesse parlato non l’avrei neppure notato tanta era la foga e l’entusiasmo con cui scendevo. Un anziano signore sta seduto sotto l’unico arbusto abbastanza grande da fargli ombra che si trova lungo il sentiero, qualche centinaio di metri più in su del paese. Sembra assurdamente un quadro bucolico del mondo antico. Quasi mi aspetto che mi parli in latino.
Mi giro e gli rispondo di no, casomai il ginocchio che è malandato, ma per oggi si sta comportando bene, grazie.
Sto ancora scendendo, pensando di aver chiuso la conversazione con questa frase educata e sono pronto a salutarlo. Ma evidentemente il vecchio ha lanciato solo un amo ed io ho abboccato.
Sicuro che non ti fa male? Guarda che poi dopo quando inizia a farti male il dolore non ti lascia più … eh, ne ho visti tanti passare di qui doloranti e io … Molta gente passa di qua correndo e non si rende conto che non è questo il cammino. Tanti non sanno neppure cosa abbiano intorno, dove stiano passando, non se lo godono!
Preso. Ha tirato la lenza e mi ha preso. Ormai sono immobile, in piedi davanti al paesano, con lo zaino in spalla e le gambe che scalpitano per scendere. Ma resto fermo. Gli altri pellegrini mi passano di fianco salutando.
Il vecchio mi chiede di sedermi e allora mi vengono in mente le parole di Sasha di ieri, mentre sotto la grande quercia mi offriva il pranzo: il Cammino non è una gara. Non c’è un premio per chi arriva primo. Il senso del Cammino è camminare. È godere del cammino mentre lo stai facendo, non è la meta. È tutto quello che c’è in mezzo tra la partenza e l’arrivo.
Mi lascio convincere dalle parole di questi due sconosciuti e decido che forse vale la pena sostare un attimo, tirare il fiato ed entrare dentro l’anima di un uomo di questa terra. Mi siedo su un tronco e mi metto ad ascoltare quelle parole il cui accento tradisce la vicinanza della Galizia, quasi fosse un aroma che non puoi non respirare.
L’uomo è sempre stato un pastore. Si alzava al mattino, pascolava le sue mandrie e poi tornava a casa. Un tempo quelle terre erano ricche di campi di cereali e di foraggio per il bestiame. Poi arrivò Franco e rese loro la vita impossibile. Così quei paesini cominciarono ad essere abbandonati fino a diventare come ora era Manjarìn.
Gli racconto che viaggio con altri amici, ma che il Cammino mi piace farlo in solitaria, assecondando quelli che sono i tempi che il mio fisico e il paesaggio mi dettano. Lui mi guarda ed è contento. Gioca con il bastone a tracciare linee nella polvere del sentiero.
Fai bene, mi dice. Sei libero. Non sarai mai così libero in tutta la tua vita. Guarda me, sono single, i miei figli sono lontani ormai e io sono felicissimo. Basta poco nella vita. Un lavoro onesto, un orto per coltivare le patate e qualche gallina. Quando hai fame puoi sempre farti una tortilla e comprare una frusta di pane. Qui invece la gente è impazzita. È scappata dai villaggi per fare i soldi, è andata a Madrid a cercare fortuna, e ora che è ricca ritorna qui per costruirsi la casa delle vacanze.
Io ho sempre vissuto qui. Ora sono in pensione, mi alzo la mattina, mi metto sotto l’albero e chiacchiero coi pellegrini. Non devo girare il mondo, è il mondo che passa di qui. Poi quando torno a casa ho i miei animali che mi fanno compagnia. Dammi retta. Non avere fretta a sposarti. Non avere fretta.
Sono allibito. Mi sarei aspettato un discorso del genere da un mio coetaneo, ma non da un anziano abitante di un paesino sperduto nel nulla leonese. La serenità con cui le parole fuoriescono da questo omino grinzoso è incredibile. Non so cosa ribattere se non annuire stupidamente come un nipote di fronte a suo nonno.

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