Perché poi a volte capita. Capita di trovarsi in posti dove non si va da anni, da così tanto tempo che ci siamo anche scordati perché non volevamo andarci. E, all’improvviso, tutto diventa ovvio ed evidente, tutto si richiarisce all'istante.
Camminavo spedito nel tardo pomeriggio tentando di attraversare piazza Cavour e, uscendo momentaneamente dal mio stato assorto, mi ritrovo a guardare chi ho intorno. Come sempre il mio subconscio arriva per primo, è lui che percepisce le anomalie prima ancora che me ne renda conto. Una strana sensazione mi invade, come se stessi assistendo ad un carnevale del grottesco, una parodia umana. Bambine che prendono l’aperitivo nei bar della piazza, tute in pelle dell’Adidas che camminano, personaggi usciti da Mtv. Eppure ognuno è perfettamente se stesso, non c'è nessuna strana parata, nessuno ride dello scherzo. La sensazione di straniamento è totale e brutale. Ci hanno invaso, anche qui nella piccola provincia, e non me ne sono accorto.
Non ci voglio pensare, ma mi tornano alla mente le parole che l’amico Ernesto scrisse una volta sul suo diario: Mi rendo conto che è maturato in me qualcosa che tempo fa cresceva dentro al trambusto cittadino: ed è l’odio alla civilizzazione, la gretta immagine di gente che si muove come tanti pazzi al ritmo di questo suono tremendo.
E un pensiero mi assale mentre apro il portone dell’Ordine degli Architetti: quello che voglio fare nella vita è realmente costruire luoghi per un popolo che non mi rappresenta, in cui non mi identifico, del quale non condivido le più basilari aspirazioni?
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