Alle 5 comincia il movimento nella catacomba. Della cinquantina di corpi che dormono sotto terra con me una trentina cominciano a muoversi silenziosi, ricostruendo lo zaino e preparandosi a partire nel buio della mattina. Mi alzo palesemente zoppicante e riemergo alla superficie. Guardo il mio tendine d’Achille con un sorriso mesto. Il simpatico vecchino mi avrà anche regalato delle perle di saggezza ieri, ma che gufo! La discesa fino a Ponferrada è stata un calvario, infinita e sempre più zoppicante. All’arrivo al monastero la famosa caviglia che mai aveva avuto problemi era dolorante e gonfia per una tendinite. Mentre curavo le bolle ai piedi e fasciavo la caviglia intorno a me la gente si accampava dove trovava posto: sotto il portico, nel giardino, nell’ex-campo santo. Poi, improvvisamente, il pericolo piattole. Una delle ragazze che era con noi a Manjarìn aveva morsi di pulci ed è scattata la quarantena per non contagiare tutti. Tutte le sue cose sono state cosparse di veleno, chiuse in un sacco e lasciate nell’ex-cimitero. E così con quelle di chi poteva essere stato contagiato. Io compreso.
Nel buio del mattino ci vestiamo ed iniziamo a camminare, ognuno con i suoi dolori.
Fa caldo, molto caldo. Raccogliamo alcune pere da alberi sul sentiero, ci cibiamo di more. Passiamo per campi ricchi di viti e frutteti, cominciamo a salire nuovamente circondati da boschetti. Poi io e Giova saliamo sul surf dei discorsi ed il tempo passa mangiandosi fatica e caldo. A notte siamo a una decina di km più avanti di dove avremmo dovuto essere. Ci accolgono le montagne.
Il giorno ci abbandona in rifugi diversi. Questa notte dormirò nella lavanderia di un ostello, con la testa di fianco alle lavatrici, e a farmi compagnia nel sonno avrò due amici tedeschi e due ciclisti valensiani. Dalle tre finestre (una chiusa ma senza vetro, una con un cartone e una senza neppure l’infisso) ci arriva il suono della vicina statale e dei camion che sfrecciano nel buio stellato. E domani Galicia.
Nel buio del mattino ci vestiamo ed iniziamo a camminare, ognuno con i suoi dolori.
Fa caldo, molto caldo. Raccogliamo alcune pere da alberi sul sentiero, ci cibiamo di more. Passiamo per campi ricchi di viti e frutteti, cominciamo a salire nuovamente circondati da boschetti. Poi io e Giova saliamo sul surf dei discorsi ed il tempo passa mangiandosi fatica e caldo. A notte siamo a una decina di km più avanti di dove avremmo dovuto essere. Ci accolgono le montagne.
Il giorno ci abbandona in rifugi diversi. Questa notte dormirò nella lavanderia di un ostello, con la testa di fianco alle lavatrici, e a farmi compagnia nel sonno avrò due amici tedeschi e due ciclisti valensiani. Dalle tre finestre (una chiusa ma senza vetro, una con un cartone e una senza neppure l’infisso) ci arriva il suono della vicina statale e dei camion che sfrecciano nel buio stellato. E domani Galicia.
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