La pioggia è
battente sul nastro d'asfalto. Grumi di case emergono sporadici dalla
vegetazione a dar senso ai cartelli che recano i nomi di piccoli villaggi. Lesnica, Loznica, Banja Koviljaca, Donja Borina.
Zvornik si
trova sul lato bosniaco del fiume Drina, poco prima che questo, sancendo il
confine trai Serbia e Bosnia, si decida finalmente a diventare lago incuneandosi tra
le montagne. Un ponte pedonale in ferro collega le due sponde, un controllo di
passaporti ad ogni estremo.
Ci fermiamo in
centro di fronte alla moschea e compriamo un paio di baklava a testa, tanto per
fermare la fame. Dolcissimi, come sempre, e buoni. Ci sediamo poi all'unico
tavolino di un piccolo alimentari dove per accompagnare i burek, torte salate
con ripieno di carne macinata, la signora ci propone di bere l'ayran, una sorta
di yogurt liquido salato.
Infiliamo la
porta del primo bar ed ordiniamo un espresso. La macchina è italiana e reca, ben visibile, un italianissimo slogan
serigrafato sulla plancia metallica.
Salutiamo il paese di frontiera e filiamo
in direzione della capitale, puntando verso le montagne.
Ha smesso di
piovere, il cielo s'è pulito, l'aria è ancora carica di tensione, la luce
tagliente. In queste condizioni cominciamo a risalire i monti, fiancheggiamo di
lontano il lago Zvornik, per poi ritrovarci in una delle più belle terre che mi
sia capitato di vedere. Le pendici dei monti si coprono di boschi, alberi
affusolati si stirano verso il cielo, grandi abeti fanno ombra sul nostro
cammino. Finchè, improvvisamente, la montagna si fa altopiano, spariscono le
foreste lasciando il posto ai pascoli. Lungo la strada risalgono mandrie di
vacche pezzate, le pecore brucano nei campi, le case isolate somigliano sempre
più a rifugi montani, a malghe. Il sole scende lungo sull'orizzonte rendendo
cristallina l'aria, inquadrando nelle nostre retine uno spettacolo emozionante. Degna e potente introduzione al nostro ingresso nella capitale.
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