La mattina,
sul terrazzino dell'ostello, chiacchierano amabilmente due strani personaggi. Uno
somiglia all'uomo dei fumetti dei Simpson, camicia sgualcita di jeans,
pantaloni corti e sandalo crucco, coda di cavallo e berretto da subsonica, pure
quello in jeans. L'altra è una bionda platinata che veste una canotta leopardata
rossa dalla quale emergono le spalle da rugbista ricoperte quasi
interamente di tatuaggi.
Dopo un'ora,
non so bene come, ci ritroviamo tutti quanti nella nostra macchina. Delphine,
la parigina, la stiamo accompagnando alla stazione; Cat, l'assistente sociale londinese,
che vuole guardare ancora un po' la città prima di prendere l'aereo di ritorno
alle 5 del mattino seguente; e Nathan, il fotografo californiano, che si fa
trascinare dal gruppo.
Arriviamo al
Museo della storia jugoslava a Novi Beograd, la parte della città che si trova
sull'altra sponda del Sava rispetto al centro antico. All'interno della Casa
dei Fiori si trova sepolto, per sua volontà, Josip Broz, meglio conosciuto come Tito. Al di
sotto di una copertura vetrata, fiancheggiato da palme e piante lussureggianti,
in un edificio dal microclima controllato, sta la salma dell'uomo che più di
tutti ha cambiato i destini della gente di questo Paese nell'ultimo secolo.
Dopo una visita fugace al museo, Cat ci porta
alla parte che preferisce della città: lo stadio della Stella Rossa. Tifosa sfegatata del Tottenham, ci inonda di chiacchiere sui suoi trascorsi allo stadio e così ci trascina fin quasi sugli
spalti.
Entriamo nella Kalemegdan Citadel, cittadina
fortificata di origine celtica situata alla confluenza tra il Sava ed il
Danubio. Controllare questa zona significava controllare il sud del Paese. Dopo
pochi minuti a passeggiare lungo le mura, tra la fortezza ed il fiume, Cat esordisce con: "Ok, dov'è
il bar?"
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