lunedì 21 ottobre 2013

stari grad - giorno 6



Avevamo notato Jenny la sera prima: mangiava della roba indefinibile da un contenitore di plastica mentre stava sdraiata sul divano dell'ostello in shorts e canotta. La sua capigliatura rossa, poi, non la lasciava passare inosservata. Il pavimento della stanza (un'ottavupla) era per metà colonizzato dalla sua valigia, aperta di fianco al letto, e dai suoi vestiti sparsi tutt'attorno.
La mattina seguente decidemmo di visitare insieme il centro di Sarajevo. Il tempo non era certo quello che ci si aspetta ad agosto, con basse nuvole grigie e qualche scroscio di pioggia. Visitammo velocemente Stari Grad, il centro antico, partendo dalla parte più caratteristica, quella di influenza ottomana. Il bazar, la moschea, la madrasa (scuola coranica) con l'annessa nuova biblioteca, i resti del caravanserraglio (il corrispettivo di un antico ostello, ci tenne a sottolineare una ragazza turca che passava di lì) e soprattutto i vicoli con le loro piazzette segrete, i tavolini alla turca fuori dai locali, il profumo del narghilè e quello dei ćevapčići. Tutto molto curato, molto affascinante e molto turistico. Ci spingemmo poi sulle pendici a nord dove i segni della guerra si facevano più evidenti e le facciate di alcuni edifici avevano l'intonaco eroso da raffiche di proiettili.
Nel frattempo Jenny ci raccontava di lei. Nata 26 anni prima in un paese dell'Australia, si era trasferita a studiare a Melbourne e lì aveva trovato lavoro. Dopo pochi mesi era passata a lavorare per la Guardia Forestale ma, come affermava lei stessa, c'erano troppe donne ed il clima era difficile. Gli scontri con la sua capa erano diventati sempre più frequenti fino a quando aveva deciso di lasciare tutto. Aveva fatto le valige ed era partita per l'Europa con lo zaino in spalla. Era ormai in giro da mesi, seguendo un itinerario estemporaneo attraverso il vecchio continente. Westminster, Stonehenge, Glasgow, Edinburgo, Scozia, Irlanda, Amsterdam, Bruges, Repubblica Ceca, Cracovia, Praga, Varsavia, Berlino, Croazia e Sarajevo ( il suo viaggio sarebbe poi continuato verso Istanbul, Cappadocia e oltre).
Dietro di noi Nathan ti stava raccontando dei matrimoni gitani in Romania, del deserto della Giordania, degli amici di Amburgo.
Mentre mi lasciavo impregnare dalle vite altrui cercavo con gli occhi assiduamente qualcosa che mi attirasse, qualcosa che incarnasse l'anima della città più che la semplice visita ai monumenti simbolo. E sempre più si sollevava il mio demone interiore, quello che aveva bisogno di solitudine e silenzio, di camminare e lasciarsi trasportare dall'intuito urbano. Essere spugna per gli edifici, le strade. Scovare la storia là dove le parole altrui te la celerebbero. Assaporare la città perdendosi e lasciandosi sorprendere da quel che si può trovare quando non si cerca nulla di specifico.

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