martedì 1 ottobre 2013

non aprire quella porta - giorno 3



Ci accampiamo nell'ottavupla, una stanza sotto tetto molto densa di persone e con il condizionatore guasto. Non faccio in tempo a girarmi che hai già impezzato la ragazza che occupa il letto di fronte al nostro e l'hai invitata a uscire a cena con noi.
Delphine è di Parigi dove lavora nella didattica universitaria già da qualche anno. Le piace viaggiare sola tutte le volte che può anche se, a questo giro, i suoi amici non erano molto contenti che si facesse in solitario il giro dei Balcani. Domattina partirà alla volta di Novi Sad ma per stasera è dei nostri e ha deciso di portarci a Skadarlija, il quartiere bohemien della città. In realtà la zona è alquanto turistica, zeppa di terrazze ad invadere la stradina di ciottoli e piccole orchestre che suonano dal vivo, di fronte ai commensali, ad un volume decisamente troppo alto. Dopo aver sondato per due volte tutti i locali, scegliamo quello che ci sembra il meno peggio. Afferro la maniglia della porta, la tiro verso di me e guardo Delphine, aspettando che entri prima di noi. Non l'avessi mai fatto. Prima ancora di sederci lei si scaglia contro il tipico maschilismo italiano ed il nostro modo fintamente galante di far sentire inferiori le donne. Io e te ci guardiamo, vivamente sorpresi. Non mi era mai passato per la testa che un gesto di gentilezza potesse passare per discriminazione. Ci domanda se non pensiamo che possa aprirsela da sola, la porta. Mi sembra una domanda sciocca, ma lei è alquanto seria. Le rispondo che la porta la apro anche agli uomini, e che non è quindi un gesto sessista. Sguardo volitivo assolutamente privo di trucco, capelli raccolti, abbigliamento ben poco femminile, Delphine è, a quanto pare, una femminista convinta. Non le dico che lo sono anch'io. Le domando se, secondo lei, non sia sessista che agli uomini non sia concesso indossare abbigliamento considerato femminile, mentre le donne possono vestire come gli uomini. Ribatte che gonne, tacchi, calze, trucco non sono altro che una scomodità e non sarebbero una conquista per la popolazione maschile.
La discussione va avanti per quasi un'ora, mentre tu ti alieni a guardare l'orchestra che ci costringe a urlare. Ci spostiamo poi in un localino trovato per caso in un vicolo dove suggerisce di brindare tutti insieme con della rakia, una sorta di grappa del luogo. Tracanniamo il bruciabudella e continuiamo a fare i finti maschilisti.
Ovviamente, di offrirle la rakia, non se ne parla neppure.

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