La tappa è finita, ma nel paese non c’è posto. Rimetto lo zaino in spalla e continuo a scendere, nella calura del primo pomeriggio.
Da dietro sento voci avvicinarsi, velocemente, un gruppo di persone evidentemente molto allenate. Sono due coppie. Mi passano a fianco e ci scambiamo un saluto. Vengono dal Cammino del Nord, mi dicono, un cammino meraviglioso e duro che passa attraverso montagne a picco sull’oceano, traghetti per attraversare gole impervie e tappe forzate da 40 km. Si vogliono fermare ad Arca per la notte, ma un loro amico ha avvisato che i posti in paese sono finiti dalle 11 del mattino e che aveva riservato dei posti in un albergo. Mi guardano e mi dicono: anzi, se vuoi vieni pure con noi, magari c’è posto anche per te.
Arriviamo ad Arca. Un paesino brulicante di gente con lo zaino in spalla e i piedi piagati. Entro nell’albergo con gli altri ed aspetto che ci facciano sapere se c’è posto e quanto costa. Se non c’è posto qui è un problema, perché non penso sia possibile dormire all’aperto, fa troppo freddo ancora. Mentre aspetto un ragazzo fa per uscire, e lo sento dire che vuole stare con i suoi amici e che lascerà il posto nell’albergue. Un gran colpo di fortuna. I posti nell’albergue erano già finiti dal mattino ed ora, a metà pomeriggio mi ritrovo con la possibilità di entrare. Mi fiondo dietro di lui e gli chiedo se posso prendere il suo posto. Certo, mi risponde. Magnifico.
Da dietro sento voci avvicinarsi, velocemente, un gruppo di persone evidentemente molto allenate. Sono due coppie. Mi passano a fianco e ci scambiamo un saluto. Vengono dal Cammino del Nord, mi dicono, un cammino meraviglioso e duro che passa attraverso montagne a picco sull’oceano, traghetti per attraversare gole impervie e tappe forzate da 40 km. Si vogliono fermare ad Arca per la notte, ma un loro amico ha avvisato che i posti in paese sono finiti dalle 11 del mattino e che aveva riservato dei posti in un albergo. Mi guardano e mi dicono: anzi, se vuoi vieni pure con noi, magari c’è posto anche per te.
Arriviamo ad Arca. Un paesino brulicante di gente con lo zaino in spalla e i piedi piagati. Entro nell’albergo con gli altri ed aspetto che ci facciano sapere se c’è posto e quanto costa. Se non c’è posto qui è un problema, perché non penso sia possibile dormire all’aperto, fa troppo freddo ancora. Mentre aspetto un ragazzo fa per uscire, e lo sento dire che vuole stare con i suoi amici e che lascerà il posto nell’albergue. Un gran colpo di fortuna. I posti nell’albergue erano già finiti dal mattino ed ora, a metà pomeriggio mi ritrovo con la possibilità di entrare. Mi fiondo dietro di lui e gli chiedo se posso prendere il suo posto. Certo, mi risponde. Magnifico.
Eccomi di fronte al mio unico pasto della giornata. Ore 18. Seduto in un bar, mi guardo intorno con una sorta di triste soddisfazione. Mi vedo come in un’inquadratura cinematografica. Guardo il mio piatto di carne e patate fritte, la mia birra con le bollicine che risalgono sinuose a prender fiato in superficie. Il tavolino leggermente unto ed i tovagliolini cerati, con scritto “Gracias por su visita”. Le bricioline di pane intorno al piatto. Poi zoomo fuori. Sono solo al tavolo, intorno a me la gente chiacchiera a gruppi. I paesani al bancone danno da dire alle cameriere, i pellegrini sono seduti fuori al sole. Mangio con gusto e sorrido. E zoomo ancora. Un paese, perso su una linea leggera tracciata da passi, da centinaia di anni di passi uno in fila all’altro. Un paese come una perlina in un filo sottile solcato sul manto nella natura, dalle montagne all’oceano. E questo filo, steso su una penisola incrostata nel nostro piccolo mondo. E io lì, ad assaporare il grasso della pancetta, a grattarmi la gola con le bollicine della birra.
Come una bolla che rotola su questo pianeta.
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