Lascio tutto nell’albergue in paese e m’incammino nuovamente. Tre chilometri mi separano dal faro, quello che veniva ritenuto il punto più a ovest d’Europa, la fine estrema di qualsiasi Cammino per Santiago. Avanzo lentamente, non ho nessuna fretta di arrivare. Una chiesina osserva l’oceano dall’alto del promontorio, alla mia destra. È l’ultima chiesa del Cammino. Una processione di pellegrini e turisti si snoda lungo la strada che porta alla Fine della Terra, accompagnata da un vento freddo e potente.
Il cippo, sul ciglio della strada a picco sull’acqua, segna 0. Ecco il faro. Ma non è il faro la meta. Proseguo, lo aggiro, scendo tra le rocce e lo vedo. L’oceano. L’oceano-mare. Mi siedo finalmente, e al mio fianco si siede tutta la stanchezza che da giorni mi portavo in spalla, tutta la fatica.
Dal promontorio guardo giù: il mondo sembra un’incrostazione che galleggia sul grande disco delle acque. E quanto è potente questa massa liquida, quanto è presente e viva. Quella pelle sottile, lucida e increspata, le sue creste spumeggianti. Le sue viscere profonde, dai colori maestosi e potenti. E il vento. Il vento senza sosta a dar voce all’acqua. Il vento, a raccontarne il profumo e a prendersi i nostri pensieri. A rubarli e portarli al largo.
E capisco perché Santiago non poteva essere la fine di tutto questo. Perché non poteva finire in una città di pietra, in un santuario costruito da mani d’uomo. Perché l’immensità di ciò che ci è successo, di tutto quello che non trova spazio sulla lingua per essere raccontato, non poteva concludersi tra quattro mura. Ma solo qui. Dinnanzi all’infinito e al misterioso. Solo qui dove non è più possibile andare avanti. Qui dove il passo si ferma di fronte all’immensità dell’oceano.
Mi avvicino al foro quadrato ricavato nel basamento di pietra. Un braciere al cielo. I pellegrini erano soliti bruciare le vesti, ormai divenute inservibili, qui alla fine del mondo. Getto dentro la lettera di un’amica, che ho portato sempre con me. E poi lascio cadere nel fuoco la garza che mi ha regalato l’amico tedesco. Un simbolo della solidarietà che lega i pellegrini, dell’aiuto gratuito e inaspettato che è il cuore del pellegrinaggio. E mentre brucia, come una pergamena sacra, ripenso a tutte le facce che ho conosciuto, a tutto l’aiuto che mi han dato.
Il cippo, sul ciglio della strada a picco sull’acqua, segna 0. Ecco il faro. Ma non è il faro la meta. Proseguo, lo aggiro, scendo tra le rocce e lo vedo. L’oceano. L’oceano-mare. Mi siedo finalmente, e al mio fianco si siede tutta la stanchezza che da giorni mi portavo in spalla, tutta la fatica.
Dal promontorio guardo giù: il mondo sembra un’incrostazione che galleggia sul grande disco delle acque. E quanto è potente questa massa liquida, quanto è presente e viva. Quella pelle sottile, lucida e increspata, le sue creste spumeggianti. Le sue viscere profonde, dai colori maestosi e potenti. E il vento. Il vento senza sosta a dar voce all’acqua. Il vento, a raccontarne il profumo e a prendersi i nostri pensieri. A rubarli e portarli al largo.
E capisco perché Santiago non poteva essere la fine di tutto questo. Perché non poteva finire in una città di pietra, in un santuario costruito da mani d’uomo. Perché l’immensità di ciò che ci è successo, di tutto quello che non trova spazio sulla lingua per essere raccontato, non poteva concludersi tra quattro mura. Ma solo qui. Dinnanzi all’infinito e al misterioso. Solo qui dove non è più possibile andare avanti. Qui dove il passo si ferma di fronte all’immensità dell’oceano.
Mi avvicino al foro quadrato ricavato nel basamento di pietra. Un braciere al cielo. I pellegrini erano soliti bruciare le vesti, ormai divenute inservibili, qui alla fine del mondo. Getto dentro la lettera di un’amica, che ho portato sempre con me. E poi lascio cadere nel fuoco la garza che mi ha regalato l’amico tedesco. Un simbolo della solidarietà che lega i pellegrini, dell’aiuto gratuito e inaspettato che è il cuore del pellegrinaggio. E mentre brucia, come una pergamena sacra, ripenso a tutte le facce che ho conosciuto, a tutto l’aiuto che mi han dato.
Il sole scende, dietro il sipario delle nubi sedute all’orizzonte, a chiudere un Cammino che era iniziato tanto tempo fa e che non aveva trovato giustizia a Santiago.
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