Incomincia a piovere. Una pioggerella leggera, quasi non scendesse neppure, sospesa nell’aria grigia. Come una malinconia, una tristezza nebulizzata.
Raggiungo Ferreiros, stanco e bagnato, con indosso tutti gli indumenti che possiedo. Nell’albergue non c’è più posto per pellegrini, è già troppo tardi ed è tutto pieno. In paese non ci sono altri posti dove dormire per cui la scelta è tra tornare indietro di qualche chilometro a cercar posto o proseguire fino al successivo centro abitato, una decina di chilometri più avanti.
Ci penso un po’ e poi saluto i nuovi compagni di viaggio, un olandese e un’italiana, che proseguono il cammino mentre io mi siedo sulla panchina di fronte all’albergue, incurante della pioggia che mi cade addosso. Stanco guardo la luce farsi più fievole e l’umido condensare e farsi come rugiada intorno alle mie gambe. È uno strano tempo, un tempo non inutile, e questo mi sembra incredibilmente confortante. I secondi che passano mentre due vite sconosciute si incrociano, e creano conseguenze inaspettate e gratuite. Chiacchiero con un ragazzo biondo che dormirà nell’albergue stanotte, spezzo il mio pane con lui: ecco la nostra povera merenda a tappare i morsi della fame. Mi rilasso un po’, tolgo le scarpe e sbendo la caviglia dalla garza che mi aveva dato un amico tedesco. Il biondo mi vede e mi regala la sua fascia elastica: me l’ha data una coppia di austriaci, ma ora non mi serve più – dice. Tienila tu, poi se li incontri glie la restituisci da parte mia.
Raggiungo Ferreiros, stanco e bagnato, con indosso tutti gli indumenti che possiedo. Nell’albergue non c’è più posto per pellegrini, è già troppo tardi ed è tutto pieno. In paese non ci sono altri posti dove dormire per cui la scelta è tra tornare indietro di qualche chilometro a cercar posto o proseguire fino al successivo centro abitato, una decina di chilometri più avanti.
Ci penso un po’ e poi saluto i nuovi compagni di viaggio, un olandese e un’italiana, che proseguono il cammino mentre io mi siedo sulla panchina di fronte all’albergue, incurante della pioggia che mi cade addosso. Stanco guardo la luce farsi più fievole e l’umido condensare e farsi come rugiada intorno alle mie gambe. È uno strano tempo, un tempo non inutile, e questo mi sembra incredibilmente confortante. I secondi che passano mentre due vite sconosciute si incrociano, e creano conseguenze inaspettate e gratuite. Chiacchiero con un ragazzo biondo che dormirà nell’albergue stanotte, spezzo il mio pane con lui: ecco la nostra povera merenda a tappare i morsi della fame. Mi rilasso un po’, tolgo le scarpe e sbendo la caviglia dalla garza che mi aveva dato un amico tedesco. Il biondo mi vede e mi regala la sua fascia elastica: me l’ha data una coppia di austriaci, ma ora non mi serve più – dice. Tienila tu, poi se li incontri glie la restituisci da parte mia.
Dal basso edificio escono due persone, un uomo e un ragazzo. Con calma dicono che lasciano l’albergue perché han trovato posto nel ristorante lungo il cammino, alla fine del villaggio. Pare che i padroni del locale offrano ai pellegrini di poter dormire gratis sul pavimento del magazzino a patto che si ceni lì. Magnifico. Ecco perché non mi stavo preoccupando. Zoppicante raccolgo la mia vita in spalla e mi dirigo al ristorante con i due austriaci. Durante la breve discesa scopro che il ragazzo è il figlio dell’uomo, che hanno iniziato il Cammino dalla Francia ad un impressionante ritmo di quasi 50 km al giorno. Ed il ragazzo indossa unicamente infradito. Allucinante.
Il ristorante ci offre la miglior cena di tutto il Cammino ad un prezzo imbattibile. La serata passa in allegria, in compagnia di altri pellegrini, vecchie e nuove conoscenze. E poi un tetto sulla testa dove dormire, e niente più da chiedere.
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