-Sveglia! Sveglia!
-Ouuu. Che ore sono? – dico nel dormiveglia.
-Le 9.00.
Merda. Non ci posso credere. Mi alzo di scatto. Nella grande camerata siamo io e una ragazza americana. Ci scambiamo uno sguardo assonnato che vuol dire una sola cosa: Oh no, ancora una volta!
In fretta e furia rifaccio lo zaino, infilo le scarpe e sono in strada. I miei compari sono a far colazione al bar. Io mi appoggio a un tavolino proprio sul porto. Spari di vento arrivano dal largo a sbrinare il mio tepore mattutino.
Poi prendiamo il bus per tornare a Santiago. Il bus. Che strano. Vedere quella strada di cui ricordi i dettagli, la prospettiva del mondo che cambiava piano piano, la fatica di mettere un passo dopo l’altro ed il tempo che ci è voluto per guadagnare la meta. Che assurdità vedere tutto questo passare rapido in una strisciata di colori sul finestrino. Bruciare in qualche ora 3 giorni di cammino. Dormire e arrivare a Santiago senza quasi accorgersene.
-Ouuu. Che ore sono? – dico nel dormiveglia.
-Le 9.00.
Merda. Non ci posso credere. Mi alzo di scatto. Nella grande camerata siamo io e una ragazza americana. Ci scambiamo uno sguardo assonnato che vuol dire una sola cosa: Oh no, ancora una volta!
In fretta e furia rifaccio lo zaino, infilo le scarpe e sono in strada. I miei compari sono a far colazione al bar. Io mi appoggio a un tavolino proprio sul porto. Spari di vento arrivano dal largo a sbrinare il mio tepore mattutino.
Poi prendiamo il bus per tornare a Santiago. Il bus. Che strano. Vedere quella strada di cui ricordi i dettagli, la prospettiva del mondo che cambiava piano piano, la fatica di mettere un passo dopo l’altro ed il tempo che ci è voluto per guadagnare la meta. Che assurdità vedere tutto questo passare rapido in una strisciata di colori sul finestrino. Bruciare in qualche ora 3 giorni di cammino. Dormire e arrivare a Santiago senza quasi accorgersene.
Saluto i miei compari che se ne vanno con l’autobus in direzione Salamanca e poi torno verso il centro. Mi siedo con Melinda, una ragazza di Budapest, nel sole del pomeriggio nella piazza di fronte alla cattedrale. Ecco finalmente una vera sosta. Seduto senza null’altro da fare che aspettare la sera per prendere il treno e cambiare nuovamente città. Sto lì, coi piedi a crogiolarsi al tepore pomeridiano, circondato da pellegrini che arrivano ad ogni momento. Guardiamo la grande facciata in pietra corrosa dal muschio e chiacchieriamo. Parliamo della musica barocca, che lei ama tanto. Del legno, del Giappone. Delle piccole decisioni che a volte cambiano la vita. Di come il Cammino vada fatto da soli.
Ci spostiamo e ci uniamo ad un gruppo di pellegrini conosciuti i giorni scorsi. Prima di stasera saremo ognuno sulla via del proprio ritorno. E nel frattempo in sottofondo scorre una magnifica musica gallega, di reminiscenze celtiche.
Passeggiamo per la città, entriamo in una libreria e compro un libro di poesie di Neruda per il viaggio; poi l’accompagno alla stazione degli autobus. Buon viaggio, Mel. Alla prossima.
È ormai notte e fa freddo quando entro in stazione. Devo prendere il treno in direzione di Madrid e scendere alle 4 del mattino a Medina. Da lì ho 2 ore prima che passi il treno che mi porterà a Valladolid. Il piano è girare per scaldarmi finchè non sorge il sole e vedere qualcosa di questo paesino. Poi quando sono stanco e Medina non ha più niente da offrire prendere il treno per Valladolid.
Sulla banchina in attesa del treno incontro degli amici italiani. Spiego loro il mio piano e mi dicono che hanno appena conosciuto un pellegrino simpaticissimo che va anche lui a Valladolid, e me lo presentano. Restiamo d’accordo che ci vediamo alla stazione di Medina e prendiamo ognuno il suo posto.
Il treno è comodissimo. Dormo alla grande, come non mai. Alle 4 quando è ora di scendere sono fresco e riposato. Nell’edificio della stazione non c’è niente di aperto. Juan mi dice che ha chiamato suo fratello perché lo venga a prendere e che se voglio mi danno un passaggio fino a Valladolid. Accetto volentieri e mi infilo nella vecchia Mercedes che sfreccia nella campagna sotto un cielo limpido di stelle. La radio passa musica della notte, mentre il fratello di Juan, assonnato, ci aggiorna su ciò che è successo nell’ultimo mese agli amici di famiglia. Un’ora di strada e siamo in città. Visto che è ancora buio e, nonostante la stagione, fa freddo, decidono di portarmi in un bar. Ci infiliamo nella movida notturna di Valladolid e l’impatto è forte. Dopo tanto tempo la vita della notte stride e raspa sulla mia pelle liscia. Facciamo colazione e nel frattempo il fratello ci racconta di come tanti suoi amici siano stati licenziati, di come la crisi stia colpendo senza risparmiare a nessuno. Storie di vita di gente che non conosco.
Alle 6 mi lasciano alla stazione del treno, dove almeno sarò al chiuso. Li ringrazio e li saluto. Addio.
Prendo posto sulle scomode sedie della sala d’attesa e mi addormento abbracciato al mio zaino. Mi rannicchio infreddolito. Mancano solo poche ore prima che il sole sorga, e allora il freddo sparirà.
Buona notte.
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