mercoledì 28 ottobre 2009

quattro passi nella notte - dia 23


Sensazione di freddo. E scomodità.
Ti rendi conto di un sacco di cose quando sei fuori. Come del freddo che fa la notte, anche in estate. Di quanto l’umido possa mangiarsi le tue membra quando non hai un letto dove dormire. Di quanto ci sembri scontato vivere con un tetto sopra la testa senza più patire le intemperie, la fame, la pioggia. Senza preoccuparci che ci depredino dei nostri pochi averi. Realizzi quanto la civiltà abbia reso questi privilegi un assunto di cui non si è più consapevoli.

Apro gli occhi e finalmente vedo le ombre. È uscito il sole.
Mi sgranchisco le membra, inforco lo zaino ed esco dalla stazione in questa domenica mattina di fine agosto. Il piano è esplorare la città tutto il giorno e poi andare in aeroporto con l’ultimo autobus della sera, passare la notte lì e prendere l’aereo la mattina seguente.
Calle Santiago, l’arteria commerciale di Valladolid, è deserta mentre il sole cerca di cancellare dalle sue facciate le ombre della notte. Sospesi nel tempo, i due amanti di bronzo che sorvegliano la città vengono sorpresi dalla luce del mattino mentre ancora si guardano, di lontano, dall’alto dei loro piedistalli.
Arrivo in Plaza Mayor e mi siedo sul basamento di uno degli obelischi a tentare di scaldare le membra al sole. Davanti a me il palazzo del Comune. Intorno cominciano a girare quelli che ovunque sono i tipici personaggi della domenica mattina. Gente che ancora non è andata a dormire, coi segni della notte sul volto. Nove coppie. Anziani già in piedi, che chiacchierano delle partite che verranno. Persone che in silenzio passeggiano per i vicoli.
Mi fermo davanti alla chiesa di Santa Maria de la Antigua. Mi siedo e comincio a disegnarla. Un disegno pessimo, intendiamoci, ma è un modo di farla mia. Come se disegnandola fossi io a lasciarle qualcosa, a farle un regalo muto e non consegnato. Che è poi l’unico modo per strapparla all’oblio del tempo.
Il sole si alza e comincia ad arroventare i miei pantaloni neri di acetato. Mi avvicino a San Pablo. Una chiesa splendida. Un pizzo marmoreo incorniciato da pilastri massicci e lisci. Mentre la guardo un anziano signore mi chiede se ho fotografato quella finestra nell’angolo dell’edificio. Perché devi sapere che da lì il principe … e si prodiga in un appassionato resoconto degli antichi fasti della città. Terminata la chiacchierata mi siedo dall’altra parte della piazza e comincio a disegnare la facciata. Non che serva riprodurre tutti questi dettagli, ma è una bellezza degna di questo sforzo, mi scopro a pensare.

Scendo dal bus e mi infilo nell’aeroporto. Appoggio lo zaino su una poltroncina. Wow. Sembrano anche comode. Poi mi guardo intorno. In tutta la hall ci sono solo io e l’inserviente delle pulizie. Qualcosa non va. Mi affaccio ad un ufficio e chiedo:
-Scusi, l’aeroporto chiude per la notte?
-Certo. Chiudiamo alle 23 e riapriamo alle 5.
Oh merda.
Esco dall’aeroporto. Il bus con cui sono venuto era l’ultimo. Non ci sono mezzi pubblici per tornare in città, che dista mezz’ora in auto. Chiamo Juan e mi dice che non può venire a prendermi perché vive in un villaggio e in questo momento è ad una festa. Ma mi dice che c’è un motel davanti all’aeroporto. Zaino in spalla attraverso la statale e dopo un chilometro mi infilo in una strada sterrata. Tra l’ingresso del cimitero, dove dei giovani stanno fumando, e un campo si trova il motel.
-Mi dispiace, anche se sei da solo devo farti pagare il prezzo intero. Sono 50€.
Gli dico che non se ne fa niente e chiedo se ci sono altri posti dove posso trovare da dormire. Mi dice che qualche chilometro più avanti c’è un paese e lì dovrebbe esserci un ostello. Ringrazio e ritorno sulla statale. Sulla strada buia a due corsie la macchine sfrecciano al mio lato. Non è detto che trovi un posto per dormire ma questo non mi preoccupa più di tanto. Per giorni è stato così e abbiam sempre trovato una soluzione. Non ho la tenda ma ho il sacco a pelo. Penso che alla fine solo 6 ore mi separano dall’apertura dell’aeroporto. Normalmente camminavamo molto di più. Potrei camminare tutta la notte, vagare un po’ per questa campagna, e poi tornare in tempo per prendere l’aereo. Potrei … improvvisamente il mio piede sinistro sente il vuoto sotto di sé e rischio di cadere nel fosso a lato della strada. Con le luci delle macchine che mi vengono incontro non avevo visto una buca nel manto stradale e per poco non cado. Guardo i campi davanti a me. Non si vede nulla. Non ho una torcia ed è troppo rischioso camminare così nella notte. Decido di continuare a cercare un posto per dormire nel paesino.
Che poi paesino non è, ma semplicemente un insieme di casette lungo la strada. Radunato nello spiazzo davanti della prima casa, a ridosso della statale, sta un gruppo di anziani che giocano a carte. Mi fermo e chiedo se sanno indicarmi dove sta l’ostello.
-Ce n’è uno proprio poco più avanti, sulla destra. Ma non so se è aperto.
Ovviamente, come sempre succede nei paesi, si apre una diatriba su se e quando sia aperto, come sia, eccetera, e ognuno vuole dire la sua.
-Poi ce n’è uno anche davanti, che è più economico – aggiunge qualcuno – Dovresti trovare da dormire per 20€.
Ringrazio e mi incammino.
In mezzo alla zona industriale sta un edificio recente, basso e modesto. Entro da una porta che sembra secondaria e mi ritrovo nel bar dell’ostello. A sinistra, seduti al tavolo, stanno degli strani personaggi a bere e giocare a carte. Probabilmente camionisti. Qualcuno gioca alle slot-machines. Al bancone ci sono 3 ragazzotti e una ragazza. Chiedo se hanno un posto per la notte. Dopo qualche minuto arriva il capo, un ragazzo giovane, e mi accompagna alla mia stanza.
-Letto matrimoniale, televisione, condizionatore personale, bagno in camera con doccia a getto orizzontale …
-Ehm.. non hai qualcosa di più spartano?
-Le stanze sono tutte uguali – mi dice il tipo sorridendo.
Mi arrendo. È comunque il posto più economico. Mi siedo al bancone mentre mangio un gelato. Il proprietario mi dice che i ragazzi sono degli artisti francesi, sono venuti a fare una tournè in Spagna, uno è il sosia di Michael Jackson. La ragazza a quanto pare è la groupie.
Guardo i due padroni e mi domando come venga in mente a due ragazzi giovani di mettere in piedi un posto come questo, sulla linea di confine tra il niente e il nulla, nel mezzo della landa anonima di un quasi paesino periferico di una città qualsiasi.
Decido di andare a dormire. Accendo la tele come riflesso incondizionato. Poi me ne accorgo e la spengo. Lo spirito del pellegrinaggio finisce qui, mi dico. Qui on the road.

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