Ci sediamo
in ultima fila, ovviamente, ma questo non è sufficiente a farci passare
inosservati. Vestiti con jeans e maglietta, zaino in spalla, spicchiamo nel nutrito gruppo di ultracinquantenni in giacca e cravatta, vestito e
cappellino.
Sul palco,
dietro ad una piccola ringhiera in legno, ci sono due uomini. Uno sta parlando
al microfono in questo momento, mentre l'altro siede un po' più lontano. Dice di qualcuno, che verrà venerdì prossimo a raccontare della sua esperienza in
America del Sud, e si augura che ci saremo tutti. Mentre scende dal palco quasi
si porta via il microfono, scatenando un sorriso generale, sostenuto da una
pronta battuta del suo compagno. È questi allora a prender la parola. Il tono
scherzoso ed amorevolmente autoritario di chi sa di avere l'auditorio dalla
sua, i gesti esperti, le pause opportune. Alterna lievi battute ad
incoraggiamenti alla comunità.
Ci guardiamo
intorno. Le panche sono in legno, ma diverse da quelle che siam abituati a
vedere. Sedute molto corte, coperte da cuscini, braccioli molto alti agli
estremi, con ampie volute vittoriane. La distanza tra una e l'altra è
estremamente ridotta, giusto lo spazio per le ginocchia, così che la sala
risulta gremita da un numero incredibile di posti. Occupati solamente una
ventina. Le pareti sono ricoperte fino a 2 metri da terra da un perlinato di
legno scuro, con una cornice sommitale intagliata leggermente. Al di sopra alte
aperture in finto stile gotico, con strombature in pietra pronunciate ed archi
a sesto acuto ad incastonare finestre con decorazioni a piombo. Quello che
sembra un palco presenta varie sedute, tutte il legno, un largo piano
d'appoggio e, sul lato destro, un organo girato di tre quarti, al cui posto
siede una signora. Dietro a tutto ciò campeggia quello che dovrebbe essere un
rosone, nel quale spicca la decorazione di una stella a sei punte.
Mentre osserviamo
tutto ciò, l'uomo sul palco comincia a parlare di salmi. Dietro di lui,
inaspettatamente, vediamo comparire delle scritte su uno sfondo celeste, relative
ai passi che sta citando, proiettate da chissà dove. Quella che dovrebbe essere
una messa è, a tutti gli effetti, una sorta di lezione, un'incontro
cattedratico dove il prete, con tanto di powerpoint e bicchiere d'acqua sul
leggio, espone ai suoi fedeli la parola del giorno. Incredibile. Estremamente pragmatico.
Anche quando, dopo un cenno all'organista (a questo punto, direi, sua moglie)
partono con una canzone tradizionale le cui parole compaiono, con tempismo
perfetto, proiettate dietro di lui. Un karaoke liturgico.
Non conoscendo
bene i tempi perdiamo l'attimo per allontanarci appena finita la funzione e,
prontamente, una mano si poggia sulla mia spalla.
- Ciao
ragazzi, ben venuti. Potevate mettervi più in mezzo, che le panche, là, sono
più distanziate
- Non si
preoccupi - rispondo quasi meccanicamente- tanto siamo piccoli.
Strette di
mano, mogli che si presentano, amici che si avvicinano tentando di non sembrare
invadenti, altri che ci guardano e sfilano, curiosi. E poi il solito balletto
con i consueti cosa fate/ siamo in vacanza/ di passaggio/ di passaggio sì, un
giro con la macchina per l'Irlanda/ bello, anche a me piacerebbe/ dovrebbe
farlo/ di dove siete/italiani/ eh, avete visto, qua il tempo è un po' diverso/
già, noi ora abbiamo 40°/ già/ già/ è stato un piacere avervi avuto tra noi/ la
ringrazio, arrivederci.
Fuori New
Row è spopolata, anziana nella sua luce tardo pomeridiana. E così ci
avviciniamo alla macchina, e salutiamo Coleraine.
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