White House
suonava bene come nome. E pure la posizione non sembrava male, affacciata sul fiume
poco prima che diventi oceano, sull'abitato poco prima che diventi centro. Una piccola
casetta bianca a due piani, tre finestre per piano, un ritaglio di prato
davanti, un piccolo albero a farle ombra. Sotto una pioggerellina leggera ci
avviciniamo per entrare quando vediamo un foglio appeso alla porta che recita
"suonare alla casa dietro a questa".
La sala da pranzo è una stanza dalla moquette logora, un divano ed una poltrona sdruciti, le pareti di un crema slavato ed un vecchio caminetto malandato, retaggio di tempi migliori. La finestrella, dietro alle pesanti tende, guarda il piccolo giardino battuto dalla pioggia. A quanto pare al momento siamo soli nella casa e finalmente possiamo riposare un po', mangiare una zuppa di verdure fumante, bere le nostre Guinness in lattina. E poi fare due passi nel centro di Sligo, una volta attraversato il ponte.
Mi sto
finendo di vestire alla poca luce del mattino che entra dalla finestra, gli
occhi ancora appannati dal sonno. Il ragazzo pakistano che dormiva nella nostra
stessa stanza sta finendo di vestirsi, camicia bianca e giacca grigia. Gli domando se
sa di qualcosa di interessante da vedere in città. Mi risponde che è qui per
lavoro solo da una settimana e che non ha avuto modo di visitarla. Gli domando
allora se il tempo è sempre così d'estate, o se siamo stati sfortunati noi. Lui
chiude la zip della sua giacca a vento, mi guarda e mi dice: "Non esiste,
l'estate, in Irlanda". Apre la porta e se ne esce per andare
incontro alla pioggia di un qualsiasi martedì d'agosto.
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