Nella luce
del primo pomeriggio osservo le gambe in ferro, il piano rivestito in materiale
plastico bianco. Alle pareti ceramica da pochi soldi, un alto soffitto ed una
decina di tavoli stipati uno vicino all'altro. Intorno a noi giovani teenager e
signori del quartiere, tutti intenti a mangiare con gusto il fish&chips del
fine settimana.
Henry Street
è affollata di gente, desiderosa di godersi il sole che è appena uscito. Dietro
a bancarelle di legno alcune donne vendono frutti di bosco, gridando le loro
offerte. Un bambino, non più di dieci anni, suona canzoni tradizionali con un
piccolo flauto, incantando i passanti. Un gruppo, una chitarra, un banjo, un
cajòn de flamenco, un bodhràn, suona musiche celtiche sulla via richiamando i
turisti.
I prati di St.
Stephen's Green sono impeccabili, bordati
di cespugli in fiore e laghetti con le oche. Ci aggiriamo ancora un po' per il
centro, pesci in un acquario.
Ormai è
quasi buio. Il tavolino è nell'angolo in fondo al locale, appoggiato ad una
parete di vecchi mattoni. Intorno stampe, foto di una natura possente e
dominatrice. La cameriera ci accoglie con un insolito accento, un'eleganza dissimulata
ed una treccia-rasta su un lato della nuca a corollario di una magnifica chioma
dallo spirito igneo.
Poi una
poltrona in un seminterrato in pietra, camini spenti e gente ovunque. Chiacchiere
in altre lingue, stessi sorrisi e stessi sguardi. Una leggerezza invidiabile ed
una gran voglia di vita. La pioggia nebulizzata. Il freddo ad agosto. Il folk,
i banjo e le chitarre, le strofe urlate e vendute al dio del turismo. Giovani che
chiedono l'elemosina. Strade sconosciute nella notte, a piedi sotto l'acqua. Rientrare
in camera al buio, una camera non tua, una camera con persone a caso, vite tangenti
inconsciamente. Ed un mondo che si spegne nella confortante scomodità di un
letto in affitto.
Ed ancora una volta si ripete il rito, il ballo di due anime gettate nel
nulla. La scherma di due esistenze.
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