Chilometri. Uno dopo l'altro. Uno di seguito all'altro, per
minuti, ore, giorni. Chilometri lungo una striscia d'asfalto che corre adagiata
sul corpo di questa terra, di questa Madre Terra, così prospera e rigogliosa,
così accogliente e benevola. Centinaia di chilometri percorsi su di un nastro
grigio, una pellicola di fotogrammi d'asfalto, la corsa di due linee bianche,
tratteggiate, come le linee lungo cui tagliare, lungo cui incidere
l'artificiale per lasciar spazio alla natura. La sventagliata di due colpi di
inchiostro che corrono, candidi, verso
l'orizzonte, scomparendo dietro curve, dossi, colline. E in mezzo, sulla
mezzeria, tante piccole lucine, fari in miniatura sulla rotta verso l'indomito
e l'infinito. Lucciole al led, sirene per le notti di nebbia, e per i fumi
dell'alcol, forse. E tutto intorno la pelle, una pelle soffice e verde, morbida
e precisa, come un mantello che si posi su queste membra, su questo corpo così
florido e tenace, tonico nelle sue forme ed essenziale, mai violento. Sul corpo,
vivo e possente, della Madre Terra, dell'ancestrale forza generatrice.
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