Usciamo dalla
porta della rimessa sperando che nessuno ci veda, ma appena ritorniamo alla
luce del giorno due paia d'occhi ci fissano. Automaticamente cerchiamo di
calarci velocemente nella parte dei turisti ingenui portando la mano alle
nostre macchine fotografiche, come fosse una scusa. La suora, tarchiata e
sorridente, si avvicina domandandoci qualcosa in questa lingua che non
conosciamo. Rispondiamo in un inglese stentato che stavamo giusto facendo
qualche foto. La ragazza si allontana dalla macchina, ci viene incontro e ci dice che non
si può passare dalla rimessa, che è una zona riservata alle suore del monastero. Ci
profondiamo in scuse idiote e mi preparo a ridiscendere il sentiero per tornare al
parco naturale. Ma vengo colto alla sprovvista dalla tua domanda: "Sapete se da queste
parti possiamo trovare un posto dove mangiare qualcosa?". Io, la suora e la ragazza
ti guardiamo, perplessi ed increduli allo stesso modo. Due turisti stranieri, a
piedi, senza auto, in mezzo al Parco Naturale presidiato solo da qualche
monastero, che cercano un posto dove mangiare come fossero in un parco
d'attrazioni. La ragazza traduce per la suora che, inaspettatamente, si
illumina e le risponde. La ragazza ci dice che le suore hanno già cenato
(saranno le sei) e che ora è un momento di depurazione spirituale e fisica. Ma se
ci accontentiamo di un cibo tradizionale, molto semplice, suor Teodora sarà
contenta di servircelo. Imbarazzati (a questo punto entrambi) rispondiamo che
se non è troppo un disturbo accettiamo volentieri. La ragazza ci affida alle
cure della suora e ci saluta.
Ci ritroviamo
nel refettorio e suor Teodora, evidentemente la cuoca, comincia portarci
diversi piatti. La nostra interprete se n'è andata e quindi la comunicazione si
risolve sempre in una sorta di ossequioso ringraziamento. Sul tavolo arrivano
patate lesse, pane ai cereali, una zuppa, dei pomodori, frutta, vino. Ci
lanciamo sulla zuppa e scopriamo cosa fosse l'aroma che pervade il convento:
aglio. Aglio in ogni dove. Nelle patate,
nei pomodori, nella zuppa; trecce d'aglio appese alle catene del portico, alle
pareti. Evidentemente lo usano come un disinfettante naturale.
Cerchiamo di
comunicare con suor Teodora che però non mastica altro che serbo. Lei alza il dito al cielo (universale gesto per dire che ha avuto un'idea) e
scompare fuori dal refettorio. Ritorna presentandoci una sua sorella che,
evidentemente, parla un po' di inglese. Ci intratteniamo un po' con lei
spiegando chi siamo e da dove veniamo. Dopo poco la sorella si accomiata ed
esce. All'arrivo dell'ennesima portata cerchiamo di ringraziare la cuoca,
tentando di farci comprendere a gesti e con l'unica parola imparata fino ad
ora: "dobro", cioè "buono". In risposta la suora ritorna con un'altra consorella a
farci da traduttrice. E così andiamo avanti per almeno un'ora, cambiando
interprete altre 4 volte, e conoscendo, nell'ordine, altre due suore, un monaco
tutto vestito in nero e con la barba lunga, la madre superiora ed una signora
con il velo, di Mostar, probabilmente una novizia.
Rifocillati comunichiamo
che vogliamo partire prima che faccia buio perchè abbiamo quasi un'ora di
cammino per arrivare alla macchina, parcheggiata lungo la strada nel Parco. Teodora si preoccupa subito, dicendoci (tramite
l'interprete occasionale) che se lo sapeva diceva a sua sorella di portarci in
città! Ma ormai è tardi! E la foresta è pericolosa, ci sono i drogati la notte!
Io e te ci guardiamo, dicendole di non preoccuparsi, che staremo attenti, che
abbiamo la torcia, che il sentiero è il medesimo fatto all'andata e dunque non
c'è pericolo, e che partiremo all'istante per evitare il buio.
Le suore
respingono vivamente ogni nostro tentativo economico di ringraziarle ed ogni
forma di offerta per il monastero. "Farete una donazione la prossima volta
che verrete a trovarci", ci dicono, sapendo che non succederà mai.
Sulla soglia
del monastero suor Teodora sorride dei nostri abbracci di ringraziamento
("the italian mode") e ci segna con una benedizione ortodossa. La ringraziamo
e prendiamo per il bosco.
Ovviamente il
buio è più rapido del previsto nel fitto degli alberi ed il nostro passo vola
spedito contro il tempo, prima di ritrovarci completamente ciechi in un Parco
che non conosciamo. Mentre cerchiamo di orientarci con i pochi dettagli che
ricordiamo dell'andata, mi ritrovo a pensare che sarebbe bello che il Dio di
queste terre desse ascolto ad una benedizione pronunciata nella sua lingua.