Si spengono
le luci e parte il video.
La ragazza
si sveglia in un letto che non è il suo senza ricordare come ci sia finita,
dopo la festa, e cosa sia successo. Mentre cerca di rivestirsi nota
nell'armadio solo indumenti femminili. Ed è proprio una ragazza quella che
entra dalla porta e, augurandole buongiorno, le stampa un bacio sulla bocca.
Il documentario che segue,
invece, racconta l'esperienza della regista all'interno del campo Burning Man,
nel deserto del Nevada. Una città temporanea, una distesa di decine di migliaia
di persone che per poco più di una settimana all'anno lavorano e festeggiano
insieme dando vita al più grande esperimento comunitario di autoespressione
radicale ed arte. Al suo interno si trova il campo Beaverton, oasi che accoglie
lesbiche, bisessuali, trans, genderqueer. E per quei otto giorni di fuoco non
c'è limite a nulla.
Si riaccendono
le luci tra gli applausi generali.
Mi guardo
intorno. Mai viste tante ragazze tutte insieme. E mai visti tanti capelli corti
in testa a delle ragazze, tutti insieme. Anche il motociclista davanti a me,
capello a scodella anni '80 e giacca della Dainese, si volta rivelandosi una
donna. Onestamente, a parte il fotografo, non riesco ad individuare un altro
uomo in sala, ma molte donne in versione mascolina.
C'è poco da
sorprendersi in ogni caso. Sono io l'anomalia all'interno di "Some prefer
cake", il festival del cinema lesbico di Bologna.
Nessun commento:
Posta un commento