Ci aggiriamo
un po' per il centro di Clifden, il che significa fare avanti e indietro per Market
Street e Main Street. Tutti i luoghi di interesse del paese (dal supermercato
alle poste, dalla chiesa ai numerosissimi pub, dall'albergo all'internet point)
si trovano su queste due strade che si incontrano con un curioso angolo ottuso
in un obelisco metallico di dubbio gusto. In ogni locale in cui entriamo incontriamo
qualcuno che sta suonando dal vivo per i numerosissimi turisti che in questi
giorni affollano la cittadina. In questi giorni, infatti, è in corso la mostra
mercato dei Pony del Connemara, evento tanto rinomato da portare su queste
coste gente da tutta l'Irlanda e saturare la capienza ricettiva del paese. Ci infiliamo
in uno dei pochi pub in cui la cucina è ancora aperta e veniamo fatti sedere in
un piccolo tavolino di fianco al palco, una semplice pedana in legno appoggiata
alla porta in legno che chiude il vecchio accesso al pub. Sopra vi trovano posto un cajòn de flamenco,
un bodhràn (tamburo tipico in queste zone), una tastiera ed alcune pedaline. Alla
porta sono appesi un banjo e due chitarre, una classica ed una acustica.
Dopo poco un
pingue signore dai capelli bianchi, vestito completamente in nero, fa la sua
comparsa sul piccolo scenario e comincia subito ad interagire con il pubblico. Dà
da dire un po' a tutti, chiedendo da dove veniamo, e riserva ad ognuno una battuta.
C'è una famiglia di statunitensi che tentano di dimostrarsi disinvolti nella loro rigidità di cera. Una coppia
di londinesi attempati. Una famiglia di Monaco che sta cercando di indovinare,
dal nostro modo di parlare, se siamo spagnoli o italiani. Dall'altra parte del
locale scorgiamo qualche gruppo di ragazzi sicuramente italiani e qualche
francese.
Sul palco
salgono poi due ragazzi, uno imbraccia la chitarra e l'altro il banjo. L'uomo
in nero, che mi ricorda tanto un Johnny Cash nostrano, è evidentemente lo
spirito goliardico del trio e continua a far ridere i clienti del pub con una
serie di battute che, ne sono certo, si ripetono più o meno ogni sera. Come il
suo cavallo di battaglia che apre la strada alla musica: "Riempite i
calici e brindiamo. E ricordate: più bevete, meglio suoniamo ".
D'accordo. Lompa
(un purista, si sa) sostiene che sia tutta musica per turisti, uno spettacolino
che ci propina esattamente quello che vogliamo sentire. Una sorta di tipicità
forzata. Un pizza-pasta-mandolino per stranieri. Eppure anche così hanno il
loro fascino. Canzoni che hanno addosso un misto di allegria, di voglia di
vivere e nello stesso tempo di malinconia. Mentre il tamburo tesse il ritmo della
storia che la voce sta cantando, le melodie raspate sulla chitarra sono
decorate da un banjo che corre velocissimo da una nota all'altra. Il nostro
amico suona a volte il bodhràn, altre il cajòn de flamenco, altre ancora due
cucchiai, messi schiera contro schiena e fatti schioccare sulle dita con grande
abilità. Capisco perchè gli irlandesi si siano fatti la fama di essere i
musicisti più rapidi al mondo.
Poi c'è un
momento di pausa. I musicisti vanno a fumare fuori, a sgranchirsi. La gente si
rilassa e ritorna a parlare ad alta voce. I vassoi di Guinness continuano a
viaggiare dal bancone ai tavoli. Il ragazzo che suona il banjo scompare a
chiacchierare con il nostro Johnny, mentre il chitarrista, un ragazzo che avrà
all'incirca 25 anni, si ferma a chiacchierare con gli statunitensi, che
sbandierano contenti il loro album appena comprato. Dice di essere stato anche
lui per un po' di tempo negli States, a causa di una ragazza. Per un attimo il tono
si intristisce ma poi, prontamente, risfoggia il sorriso amabile di sempre e
con una battuta rimette tutti di buon umore.
Un attimo da
nulla. Eppure mi basta per farmi pensare a quanto siamo abituati ad usare le
nostre maschere, lavorative o meno. A come essere buffoni aiuti a non far
entrare nessuno là dove la vita più brucia.
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