È quasi
senza pensare che dirigiamo, poi, nuovamente verso le Cliffs. Dal litorale di Doolin,
infatti, parte uno dei sentieri che permettono di percorrere tutte le Cliffs of
Moher da nord-est a sud-ovest, fino al punto più alto e ancora oltre.
Poco più
avanti il sentiero che costeggia il profilo della scogliera è sbarrato da un
cartello: "Clare Co. Council. Caution. Very dangerous cliffs ahead". Scavalchiamo
il cancello e ritroviamo il nostro sentiero. Il manto erboso comincia ad
alzarsi notevolmente, piano piano, a salire mentre sulla destra le rocce
scendono verticali fino al livello dell'oceano. Passiamo da un campo di capre,
scavalchiamo qualche altro steccato, attraversiamo ponticelli improvvisati che
permettono di passare da uno sperone all'altro, camminando su decine di metri
di vuoto.
A pochi
metri dalla costa alcune foche stanno cercando di procacciarsi il cibo
quotidiano, nuotando senza fretta.
A volte il
sentiero taglia dritto per i campi di foraggio e la scogliera sparisce,
ingoiata dalle rotonde forme di madre terra. Altre si fa ardito e sfiora il
precipizio, quella parete di roccia stratificata e scura che si inabissa nelle
acque.
Non si
capisce bene se sia ancora il nostro stanco stato di catatonia a farci
proseguire, o la consapevolezza che questo mastodontico monumento naturale è il
nostro addio a questa terra. In ogni caso continuiamo a camminare per oltre
un'ora, risalendo il pendìo, godendoci il sole e la pioggia irlandesi per
un'ultima volta, rimandando senza rimorsi la partenza ora dopo ora.
In fondo,
tornare a Galway è già quasi un tornare a casa. Perchè Galway è città, perchè è
già conosciuta, perchè è una tappa breve. Perchè l'Irlanda è il non civile, il
non-antropizzato.
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