giovedì 4 ottobre 2012

aran - day 7




Scorriamo di fianco alla costa in sella alle nostre bici fino ad un punto in cui la costa si fa più dolce, e le placche di roccia formano delle terrazze nell’acqua. Un piccolo casottino bianco segna il punto di avvistamento delle foche. Risaliamo la strada fino ad una stretta spiaggia bianca, una delle poche zone sabbiose dell’isola. Qui si trova un crocicchio di strade che portano in tutte le direzioni. Di fatto l’isola è percorsa da un’unica strada, da sud-est a nord-ovest, sulla quale si trovano tutte le case. Solo nella parte centrale, più ampia, questa spina dorsale si divide in due, con una strada sul crinale ed una lungo la costa. A sud di questa strada l’isola si trasforma in un deserto di pietra, una successione di lastre senza vegetazione che terminano bruscamente nell’oceano con spettacolari scogliere.
Superiamo la spiaggia e ricominciamo a salire. La strada volta a sinistra, a sud. È la via che conduce a Dùn Aonghasa. Proprio nell’incrocio si trovano due edifici dall’aria vagamente mediterranea. Bassi villini di bianco calce e gli infissi colorati di azzurro o giallo. Sulla facciata del più caratteristico dei due, sotto al tetto in paglia evidentemente appena rifatto, spiccano rigogliose piante in fiore. La casa è un bar e ne approfittiamo per una seconda colazione a base di tè e dolci tipici. Ci sediamo di fuori a goderci questo magnifico sole che è venuto a salutarci. Osservo l’altro edificio. Nonostante l’apparenza risulta essere un edificio turistico, dove vendono souvenir dell’isola. Mentre mi godo i fiori e la paglia due bambini ci scorrazzano intorno. Il piccolo, dalla carnagione ed i capelli innegabilmente irlandesi, continua a girare trai tavoli con una confidenza che rivela la sua familiarità con il luogo. La bimba, invece, ha la carnagione più scura, i capelli lunghi fin sotto la spalla liscissimi e di un nero corvino. Il taglio degli occhi tradisce origini vagamente orientali. Si mettono infine a giocare sul tavolo di fianco al nostro. Provo a prestare attenzione a quello che dicono, ma non capisco. Finchè arriva la mamma, con una monovolume con altri due bimbi a bordo, a prenderli. Si intrattiene un po’ in chiacchiere con la padrona del bar che nel frattempo, con ancora il grembiule, sta innaffiando i fiori. E così capiamo, non capendo nulla, che la lingua che sentiamo è il gaelico e che, a quanto pare, la famiglia è una delle poche che effettivamente vivono sull’isola.

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