Parcheggiamo
ed usciamo dalla macchina. Tira un vento forte, il cielo è grigio e minaccioso,
parente dei cieli di montagna capaci di tutto. Oltrepassiamo il varco di un
simbolico ingresso e ci avviamo lungo una passeggiata lastricata fino ad uno
spiazzo. A destra il sentiero si inerpica per una scala monumentale (pure
troppo) che raggiunge una piccola torre di vedetta. A sinistra diviene un
sentiero che presto termina in un piccolo belvedere. Ci avviciniamo al bordo e,
finalmente, le vedo in tutta la loro magnificenza. Le Cliffs of Moher. Le
Scogliere della Rovina. Una serpentina di otto chilometri di roccia che termina
a picco sull'oceano, verticale, in caduta libera per oltre duecento metri. Ma non
è tanto l'altezza ad impressionare. È la conformazione. Colossali masse di
roccia che si lanciano verso il nulla, verso l'oceano, in un tuffo muto e
congelato da millenni. Una costa fatta di promontori, di tentativi di assaltare
l'orizzonte. Pareti verticali dove le ere geologiche sono messe a nudo,
scoperte.
Ci si
presentano, le scogliere, in un'atmosfera apocalittica. Una tempesta che non
riesce ad esplodere imperversa tutto intorno, scaricandosi in acqua, poco
lontano. L'aria si fa strana, azzurrognola, poi sulfurea. Un sole ostinato
prova a sfondare la coltre di nubi, illuminando insperatamente porzioni di
scogliera che si stagliano sullo sfondo cupo.
Sul parapetto,
davanti a noi, un cartello recita: "Hai bisogno di parlare? Chiamaci.
Samaritane" riportando poi un numero di telefono. A quanto pare queste
zone sono famose per essere teatro di numerosi suicidi. Guardo giù. Non lasciano
molto scampo.
Il percorso
cammina sul bordo del precipizio, protetto da un parapetto. Presto la
passeggiata si conclude con una bassa barriera di lastre di pietra che segna la
fine del percorso ufficiale. Il tempo continua a peggiorare, la pioggia è, a
volte, battente. La gente sta tornando verso il parcheggio, camminando in senso
opposto al nostro. Noi ci guardiamo un secondo ed attraversiamo la barriera. Dall'altra
parte il sentiero è un percorso sterrato scavato nella terra che corre a mezzo
metro dal precipizio. Di protezioni neanche a parlarne. Rispolvero le mie
antiche vertigini e andiamo avanti.
Due ore dopo
stiamo ancora camminando senza sosta in direzione sud-ovest. Il cielo si è
ripulito, il vento si è placato, e le scogliere sono illuminate da una tenue
luce vespertina.
È curioso
come, anche in questo caso come a Santiago, la maestosità della natura mi trasmetta
quel senso di sacro e di trascendente che le chiese ormai non riescono più a
trasmettermi. Quasi che l'immobile indifferenza della natura esercitasse su di
me un senso di figliolanza. Come se la meta di un viaggio come questo, on the
road, non potesse che essere il tornare all'origine di tutto, ad un linguaggio
pre-logico e anticivile. È la natura, l'immensità di tutto questo che ho
davanti, ad essere cattedrale a se stessa.
Nessun commento:
Posta un commento