mercoledì 17 ottobre 2012

cliffs of moher - day 8




Parcheggiamo ed usciamo dalla macchina. Tira un vento forte, il cielo è grigio e minaccioso, parente dei cieli di montagna capaci di tutto. Oltrepassiamo il varco di un simbolico ingresso e ci avviamo lungo una passeggiata lastricata fino ad uno spiazzo. A destra il sentiero si inerpica per una scala monumentale (pure troppo) che raggiunge una piccola torre di vedetta. A sinistra diviene un sentiero che presto termina in un piccolo belvedere. Ci avviciniamo al bordo e, finalmente, le vedo in tutta la loro magnificenza. Le Cliffs of Moher. Le Scogliere della Rovina. Una serpentina di otto chilometri di roccia che termina a picco sull'oceano, verticale, in caduta libera per oltre duecento metri. Ma non è tanto l'altezza ad impressionare. È la conformazione. Colossali masse di roccia che si lanciano verso il nulla, verso l'oceano, in un tuffo muto e congelato da millenni. Una costa fatta di promontori, di tentativi di assaltare l'orizzonte. Pareti verticali dove le ere geologiche sono messe a nudo, scoperte.
Ci si presentano, le scogliere, in un'atmosfera apocalittica. Una tempesta che non riesce ad esplodere imperversa tutto intorno, scaricandosi in acqua, poco lontano. L'aria si fa strana, azzurrognola, poi sulfurea. Un sole ostinato prova a sfondare la coltre di nubi, illuminando insperatamente porzioni di scogliera che si stagliano sullo sfondo cupo.
Sul parapetto, davanti a noi, un cartello recita: "Hai bisogno di parlare? Chiamaci. Samaritane" riportando poi un numero di telefono. A quanto pare queste zone sono famose per essere teatro di numerosi suicidi. Guardo giù. Non lasciano molto scampo.
Il percorso cammina sul bordo del precipizio, protetto da un parapetto. Presto la passeggiata si conclude con una bassa barriera di lastre di pietra che segna la fine del percorso ufficiale. Il tempo continua a peggiorare, la pioggia è, a volte, battente. La gente sta tornando verso il parcheggio, camminando in senso opposto al nostro. Noi ci guardiamo un secondo ed attraversiamo la barriera. Dall'altra parte il sentiero è un percorso sterrato scavato nella terra che corre a mezzo metro dal precipizio. Di protezioni neanche a parlarne. Rispolvero le mie antiche vertigini e andiamo avanti.
Due ore dopo stiamo ancora camminando senza sosta in direzione sud-ovest. Il cielo si è ripulito, il vento si è placato, e le scogliere sono illuminate da una tenue luce vespertina.

È curioso come, anche in questo caso come a Santiago, la maestosità della natura mi trasmetta quel senso di sacro e di trascendente che le chiese ormai non riescono più a trasmettermi. Quasi che l'immobile indifferenza della natura esercitasse su di me un senso di figliolanza. Come se la meta di un viaggio come questo, on the road, non potesse che essere il tornare all'origine di tutto, ad un linguaggio pre-logico e anticivile. È la natura, l'immensità di tutto questo che ho davanti, ad essere cattedrale a se stessa.

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