Camminiamo
lungo la riva, tempestati di offerte di cibo, tour, oggetti, guide. Decidiamo infine
di prendere una barca per esplorare lo stretto. Appena accettiamo l'offerta il
ragazzo ci chiede i soldi anticipati e ci dice di infilarci velocemente su di
un pulmino fermo in sosta vietata. Niente biglietto, niente che dimostri che
abbiamo pagato. Dopo qualche minuto il nove posti si riempie e comincia a
scendere verso l'area di attracco. Sempre senza alcun tipo di controllo veniamo
fatti montare, con un'improvvisata scaletta in legno, su di un barcone che
ondeggia vistosamente. Quando il pulmino arriva per la seconda volta, carico di
turisti, finalmente partiamo. Passiamo al di sotto del ponte di Galata, coi
suoi locali, i suoi ambulanti e le sue canne da pesca, lasciamo il Corno d'Oro e ci dirigiamo verso il Bosforo.
Costeggiamo la riva europea di Istanbul, con i suoi palazzi in legno
abbandonati, dirigendoci verso nord, verso il Mar Nero, allontanandoci dalla città
antica. Alle degradate ville a ridosso dell'acqua si sostituiscono edifici
moderni, piccoli grattacieli, facciate moderne, vetro e acciaio, alternati ad
attimi di pineta fitta. L'acqua tra le due rive è calma, mossa soltanto dal
passaggio di altre imbarcazioni come la nostra. Sul ponte il comandante ci
porta l'immancabile tè turco in bicchierini di vetro con decorazioni dorate. Un
paio di zollette a testa. L'aria pungente del Bosforo si infila dentro la
maglia, tra le orecchie, nella testa e ci ripulisce dalla confusione di una
città dove tutto è in vendita, dove tutti sono indaffarati a mercanteggiare.
Di fianco a
noi un gruppo di turisti fanno gli "italiani" gridando, gesticolando
esageratamente, facendosi foto idiote. Una signora presumibilmente russa sfida
in mezze maniche il freddo incipiente mettendosi in posa per essere immortalata
dal suo compagno. Un paio di bambini si rifugiano sotto coperta.
Il sole si
nasconde dietro le nubi e scende dietro le colline all'orizzonte. L'acqua
diventa un liquido scuro, denso, le sponde silhouette trapuntate di piccole
luci. L'imbarcazione fa un'inversione e ci porta sulla via del ritorno
costeggiando la riva asiatica. La vegetazione continua con le sue incursioni,
qualche villa in legno decrepita in stile europeo ci saluta di lontano. Ci
avviciniamo lentamente ad un piccolo molo ed un ragazzo scende al volo dalla
prua.
Passiamo
sotto al ponte strallato che si staglia contro il cielo, disegnato da tante
piccole luci che cambiano colore. Ci avviciniamo a Beyoglu e Fatih dove le
moschee emergono dalla massa indistinta della città vecchia come gemme
preziose.
Appena prima
di attraccare il volume della musica sull'imbarcazione si alza improvvisamente
e spara nell'aria un'inconfondibile Gnam gnam style, inno inconfondibile del
"tutto il mondo è paese".
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