- Italiani?
- dice una voce qualche passo dietro di noi.
- Sì -
rispondiamo con un certo sollievo, visto che è il primo che non ci confonde con
gli ispanici.
- Da che
città venite?
- Bologna. E
dintorni.
- Sono stato
a Bologna. Piazza Maggiore, le due torri.
Io cerco di
minimizzare per andarmene, ma puntuale come diceva la guida arriva l'offerta.
- Venite
dentro, che vi offro un tè.
Mentre cerco
nel catalogo delle banalità diplomatiche un modo per divincolarci, tu infili la
porta.
Il negozio è
uno stanzone con tre grandi vetrate che danno su di una strada laterale, tra Taya
Hatun e la ferrovia. Ci accomodiamo su due sedie in legno, di bella fattura,
seduta e schienale di cuoio. Lui è un uomo sulla cinquantina abbondante, i capelli
grigi, la barba ben rasata. Gli occhiali senza montatura lasciano trasparire
uno sguardo malinconico, occhiaie stantie di preoccupazioni. Prende posto a tre
metri da noi e spedisce la ragazza del negozio a procurarsi del tè.
Ci chiede
dell'Italia. Di com'è vivere là ora, se è cambiata, com'è la situazione dopo
Berlusconi. Spieghiamo i problemi della crisi, ore infinite di lavoro e
pagamenti a singhiozzo, incerti e magri. Dice che anche lui ha vissuto per un
certo periodo nel nostro Paese, ha studiato a Perugia qualche mese. Era giovane,
neanche ventenne, e ha dormito un po' ovunque, alberghi, ospite in casa della
gente, per strada, nelle stazioni, nei parchi. Ha girato in autostop e così ha
imparato la lingua. Gli domandiamo com'è vivere in Turchia, vivere a Istanbul. Fa
una pausa lunga. Bisogna lavorare tanto, ci rivela. C'è chi non fa niente, ma è
perchè non vuole. Per chi vuole lavorare ci sono interminabili ore da
affrontare per potersi pagare la vita. Lui, Ahmet, ha due figli ed ora dovranno
andare all'università, a casa ha una moglie che ha problemi di testa, prende le
medicine, forse è depressa. Ci rivela che lavora 18 ore al giorno (!!) e che
dorme in negozio. Dice tutto questo come se stesse parlando di un fatto da
nulla, senza rilievo. Gli occhi ci guardano senza cambiare espressione, senza
accenti nelle parole, senza entusiasmo.
Infine arriva
l'offerta. Se vogliamo prendere qualcosa, comprare qualche souvenir, ci farà un
buon prezzo.
Lasciamo il
negozio senza aver acquistato nulla, a parte uno strano senso di tristezza.
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