giovedì 25 aprile 2013

diciotto ore - day 2



- Italiani? - dice una voce qualche passo dietro di noi.
- Sì - rispondiamo con un certo sollievo, visto che è il primo che non ci confonde con gli ispanici.
- Da che città venite?
- Bologna. E dintorni.
- Sono stato a Bologna. Piazza Maggiore, le due torri.
Io cerco di minimizzare per andarmene, ma puntuale come diceva la guida arriva l'offerta.
- Venite dentro, che vi offro un tè.
Mentre cerco nel catalogo delle banalità diplomatiche un modo per divincolarci, tu infili la porta.
Il negozio è uno stanzone con tre grandi vetrate che danno su di una strada laterale, tra Taya Hatun e la ferrovia. Ci accomodiamo su due sedie in legno, di bella fattura, seduta e schienale di cuoio. Lui è un uomo sulla cinquantina abbondante, i capelli grigi, la barba ben rasata. Gli occhiali senza montatura lasciano trasparire uno sguardo malinconico, occhiaie stantie di preoccupazioni. Prende posto a tre metri da noi e spedisce la ragazza del negozio a procurarsi del tè.
Ci chiede dell'Italia. Di com'è vivere là ora, se è cambiata, com'è la situazione dopo Berlusconi. Spieghiamo i problemi della crisi, ore infinite di lavoro e pagamenti a singhiozzo, incerti e magri. Dice che anche lui ha vissuto per un certo periodo nel nostro Paese, ha studiato a Perugia qualche mese. Era giovane, neanche ventenne, e ha dormito un po' ovunque, alberghi, ospite in casa della gente, per strada, nelle stazioni, nei parchi. Ha girato in autostop e così ha imparato la lingua. Gli domandiamo com'è vivere in Turchia, vivere a Istanbul. Fa una pausa lunga. Bisogna lavorare tanto, ci rivela. C'è chi non fa niente, ma è perchè non vuole. Per chi vuole lavorare ci sono interminabili ore da affrontare per potersi pagare la vita. Lui, Ahmet, ha due figli ed ora dovranno andare all'università, a casa ha una moglie che ha problemi di testa, prende le medicine, forse è depressa. Ci rivela che lavora 18 ore al giorno (!!) e che dorme in negozio. Dice tutto questo come se stesse parlando di un fatto da nulla, senza rilievo. Gli occhi ci guardano senza cambiare espressione, senza accenti nelle parole, senza entusiasmo.
Infine arriva l'offerta. Se vogliamo prendere qualcosa, comprare qualche souvenir, ci farà un buon prezzo.
Lasciamo il negozio senza aver acquistato nulla, a parte uno strano senso di tristezza.

Nessun commento: