martedì 16 aprile 2013

cimolais



Il mare è piatto, liscio con scaglie di cobalto. La spiaggia, impolverata di incuria umana, si infila stretta tra l'acqua e la pineta. E proprio sul confine stanno alcune curiose proto-costruzioni. Un intrico di rami e legname, di cannicciati e pallet, raccolti a cerchio. Alcove appollaiate di fronte al mare, nidi costruiti da uccelli giganteschi, verrebbe da dire. E mentre il sole infiamma le creste dei pini all'orizzonte e le zanzare si risvegliano per l'aperitivo crepuscolare, l'immagine di primitivi esseri umani che si raccolgono intorno al fuoco si fonde con quella dei nudisti di Caorle.

Scrocchia, la neve, sotto i piedi. Crepita e cede la piccola patina di ghiaccio alimentando il fiume delle nostre parole. La malga, ancora addormentata nel primo sole primaverile. Le montagne, alte e vestite di bianco, a denudarsi poco alla volta. La birra che scintilla d'oro nel sole basso, e mi ricorda gli insegnamenti dei crucchi ed il loro saper oziare.

E poi il treno in ritardo, l'ultima coincidenza persa, la prospettiva di quattro ore di notte ad aspettare un convoglio che a Mestre non vuole arrivare. "Ciao. Sei in città per caso?" e via, verso una casa quasi sconosciuta, che onestamente non avrei più pensato di vedere, e la compagnia fortuita a riempire le ore della notte. Il treno dei disperati, stipati in un corridoio, il vagone che sa di fiato e di pelle, la polizia ferroviaria a seminare tensione. Un filo che scorre nella notte, la percezione appannata delle ore che si susseguono cullate dai binari. Ore di ritardo, noi fermi ad un passo dalla meta.
E, finalmente, casa. 

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