Percorriamo nuovamente
il mercato del pesce sfilando tra le bancarelle e la banchina di attracco del
traghetto. Begli esemplari di cui io misconosco i nomi guizzano dentro a grandi
tinozze azzurre colme d'acqua. Oltrepassato una sorta di varco ci troviamo in
una zona sterrata colonizzata dai tavolini dei vari locali che si affacciano su
questa parte del Corno d'Oro. Baretti e chioschi con la pretesa d'esser
ristoranti. È ancora presto ed i tavoli sono tutti vuoti. Ci sediamo ed
ordiniamo due orate. Memore della scorsa volta lasci perdere l'ayran e bissiamo
con una coppia di birre. A pochi passi da noi un uomo, che gli stenti hanno
privato di un'età riconoscibile, armeggia su di un carretto. Protetto da uno
spartano berretto da baseball, propone verdura e frutta fresca, spremute di
arance e melograni. Poco oltre, a pochi passi dall'acqua, una coppia,
probabilmente britannica, non sa decidersi su cosa ordinare. Dopo qualche
minuto al nostro fianco si vengono a sedere due coppie di anziani tedeschi in
villeggiatura. Tipico abbigliamento, tipiche espressioni, tipica giovialità
vacanziera. E l'immancabile pinta tra le mani.
Nel sole di
questo strano pranzo di pasqua osservo il liquido chiaro come il miele e le
bollicine risalire lente alla superficie per respirare. Penso alle parole che
Michi mi ha voluto scrivere usando lo scritto di Russell. E non posso fare a
meno di constatare che i crucchi (i miei crucchi, almeno) siano maestri in
questo, nell'arte pura dell'oziare, concepito nel suo senso più elevato e
ormai, per noi, smarrito. Contemplo la birra (novello Amleto del luppolo) e non
mi resta che ammettere che qualcosa, in fondo, ho imparato dalla convivenza con
loro. E non solo ad apprezzare il gusto di una Pilsen nel sole pallido di una
primavera che non vuole arrivare.
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