venerdì 26 aprile 2013

galata - day 2



Risaliamo una lunga scalinata che si addentra per il pendio. Incontriamo gruppi di giovani e turisti che si muovono nella notte. Poi infiliamo una stradina ricca di locali e negozi. Un bar al primo piano, aperto sulla strada, propone con una grafica accogliente dolci tipici; una vetrina d'artigianato espone orecchini ed anelli d'argento; un negozio poco distante esibisce filati e souvenir. La strada fa una curva secca e ci appare, improvvisa, la torre di Galata. Illuminata nella notte, spunta tra i tetti degli edifici quasi fosse di fuoco a ricordare l'antica funzione di avvistamento degli incendi.
Ai suoi piedi si trova la terrazza di un bar, riparata da una pergola e affacciata sul panorama. Mentre indugiamo sul da farsi veniamo attirati da una voce che si muove nell'aria. Un gruppo di giovani turchi è seduto a un lato della piazzetta ed intorno si è creato un semicerchio di persone rapite dal momento. Un cajon de flamenco ed un violino accompagnano l'anima del gruppo che suona una chitarra classica e canta. Ci sediamo anche noi a godere di questa melodia sorridente e malinconica. La sera e tiepida e la fretta non abita più in noi.
La via che risale la collina fino a piazza Tunel, nel cuore di Beyoglu, è illuminata dai piccoli negozietti che vi si affacciano. Bar, negozi di vestiti, souvenir, strumenti musicali, bigiotteria. Intorno a noi turisti e turchi si mischiano senza sosta diretti in chissà quale locale. Un Staffordshire Bull Terrier con collare di borchie e Rayban gialli specchiati scende con stile incredibile verso la torre.
Poi una delle solite folgorazioni. Una scala che scompare nel solaio di un microscopico bar stile Starbucks, ricompare al piano di sopra, per scomparire di nuovo. Ci guardiamo ed entriamo. Sono le dieci di sera, nel locale non c'è nessuno a parte una giovane barista. Saliamo fino al terzo piano e, da lì, una ripida scala in metallo ci porta sulla copertura. Una decina di tavolini abitano la piccola terrazza quadrata che si erge sopra gli altri edifici. La notte è limpida, gli aerei tracciano scie di luce nel cielo.
E mentre sorseggiamo il nostro tè non posso fare a meno di constatare, ancora una volta, come l'amore per la periferia, per l'imperfetto, per il degradato siano fortemente radicati in me. Guardo i balconi delle vie traverse, ingombri di incuria e residui di vita come in tutte le altre parti del mondo, gli angoli meno illuminati delle strade, i tetti sotto di noi, le cucine attraverso le finestre aperte. Guardo tutto questo e mi vengono in mente le parole di Junichiro Tanizaki ed il culto che il Giappone ha sempre nutrito per i segni che la vita lascia sugli oggetti, il rispetto reverenziale per il tempo che passa. Una forma di rispetto e di affetto che l'Occidente, in genere, non conosce.

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