martedì 8 gennaio 2008

stop making sense

Guardava il suo bicchiere. Continuava a svuotarsi con incredibile noncuranza.
Alzò per un momento gli occhi e si ritrovò a guardare ancora una volta quella scena. Intorno ad un tavolino quadrato, basso, stavano gli altri ragazzi dell’appartamento. Ognuno parlava con il suo tipico accento straniero ed ognuno interveniva con il suo carattere, come fossero macchiette di quello spettacolo. Lui si sentiva come se gli avessero tirato le tende intorno. Come se le sue parole, raggiunta la tenda, morissero. Le sentiva vuote alle sue orecchie, antipatiche quanto dovevano sembrare agli altri.
Uscì. Mandò un sms al suo amico francese e si ritrovarono al bar all’angolo con Gracia.
Gli offrì una birra e lo spronò a chiacchierare. Non aveva voglia di parlare, ma solo di sentirsi trascinare dal flusso dei problemi altrui. Annegare i suoi e lasciarsi trascinare dall’alcol e dalle chiacchiere che non lo toccavano.
D’altra parte il suo amico aveva la sua dose di problemi seri, conditi da un contorno si sane paturnie e problemi del cazzo. Eran proprio questi ultimi a dilettarlo. Scovare l’inutilità di un problema autoindotto e specularci sopra. Ma stasera non era serata.
L’alcol non ne voleva sapere di risolvere i problemi ed il suo interlocutore era troppo abbattuto per continuare nella cerebrale vivisezione alla dr House.
Si sentì stanco.
Desiderò di andare a dormire.
Guardò la cameriera rispondere al telefono e sorrise. Lo metteva sempre di buon umore.
Quando arrivò al tavolo, inaspettatamente le chiese: “Un amore nero”

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