Poi ridiscendiamo
verso Doolin. Ci sono tre ostelli sulla strada principale del paese. Il primo che incontriamo, il Rainbow
Hostel, non ha più posto, mentre poco più avanti, al Flanagan's, con un po' di insistenza riusciamo ad ottenere due posti in una stanza da dodici. Appoggiamo i nostri averi in camera e
ci dirigiamo subito verso la costa in cerca di cibo, visto che le cucine chiudono presto in questo Paese. Il primo locale che incontriamo è il Doolin Cafè,
un posticcino carino con gli interni in stile vagamente parigino, pochi tavoli
ed un'atmosfera rilassata. Ci guardiamo negli occhi, io e te, e ci
rammarichiamo, come tante altre volte, di non essere qui con una ragazza. In ogni
caso il locale è pieno e non ci serviranno prima delle dieci. La fame ci sta divorando e non ce la
possiamo fare ad aspettare tanto, quindi scendiamo ancora verso l'edificio successivo. Il McDermotts
Pub è assolutamente pieno di gente, murato, e la cucina è aperta ancora per poco. Ordiniamo al volo le consumazioni e
portiamo le nostre birre con noi, cercando posto in uno dei due tavoli in legno che si trovano all'esterno. Seduto ci sono due ragazzi grosso modo della nostra età. Domandiamo se possiamo sederci al loro
tavolo, visto che non c'è altro posto, e loro cordialmente ci ospitano. A questo
punto fare amicizia è facile. Colin è irlandese di origine, ma ha studiato
all'università a Nottingham, dove ha incontrato Ed, gallese, e son diventati
grandi amici. Colin poi si è spostato per lavoro a Sidney dove progetta valvole
per turbine e centrali, mentre Ed è rimasto a lavorare in università. Ora si
sono dati appuntamento, dopo anni, in Irlanda, e se la stanno girando allegramente passando da una città all'altra. Colin ricorda che quando era piccolo sulle Cliffs ci venivano e
non c'era nulla, non c'era il parcheggio, il centro visitatori, la piazza con i
parapetti. "Parcheggiavamo la macchina a pochi metri dal precipizio e si
stava lì, ad un soffio dal vuoto". Mentre mangiamo i due tracannano due pinte a testa (e chissà
quante ne hanno già scolate prima che arrivassimo) ed ordinano l'ultimo piatto
prima che la cucina chiuda definitivamente.
Davanti a noi, sedute all'altro tavolo, ci sono
sei donne irlandesi che ogni tanto danno da dire a Colin, il più affascinante
della compagnia. Tutte quante hanno abbondantemente superato il loro peso forma
diversi anni fa, forse per colpa dell'alcol che continuano ad ingerire, o delle
patate fritte, o della vita. E non perdono occasione per smentire la loro
femminilità ruttando come camionisti. Anche Colin sembra a metà tra
l'imbarazzato ed il divertito. In compenso Ed, occhi da Elijah Wood dietro gli
occhiali e capello corto, sfoggia un sorriso che non so bene se significhi allegria o ebbrezza. Io mi ricredo, e penso che sono contento di non essere qui
con una ragazza.
Finito di
mangiare proviamo ad entrare nel pub dove hanno appena cominciato a suonare. Tutti
si sono radunati intorno alla nicchia di legno di fianco alla porta dove si
sono piazzati i musicisti e non c'è un centimetro libero per passare, le sedie disposte
anarchicamente ovunque, fin sotto al microfono. Tra il pubblico ci sono diversi
stranieri, ma scopriamo con piacere che molti sono irlandesi. In ogni caso strano
gruppo, il gruppo. Quasi anziani e molto giovani si affiancano suonando
chitarre, banjo, tamburi. Sembrano suonare canzoni tradizionali, qualcuna su
richiesta del pubblico. Dopo poco riusciamo a conquistare un tavolo, e per di
più vicino al bagno. I bicchieri intanto continuano ad arrivare e venir
scolati, noi a offrire a loro e loro a noi, con la differenza che i due
trincano con velocità doppia rispetto a noi. Alla nostra quarta pinta Colin è
euforico, comincia a cantare a squarciagola le canzoni, mentre Ed non gli sta
dietro e se la ride. Poi si gira ghignando e ci dice: "Sapete a chi
somigliate voi due? A Mario e Luigi!", riferendosi a Mario Bros.
Ad un centro
punto un ragazzino, un teen-ager, si alza e va verso il microfono, chiedendo se
può cantare. Il gruppo, molto contento, lo fa sedere e si mettono d'accordo
sulla canzone. La chitarra attacca e l'auditorio va in visibilio (un pezzo che
tutti conoscono tranne noi). Il ragazzo, acne sulle guance e sguardo timoroso,
tira fuori una voce ruggente che non ti aspetti, e carica l'aria sostenuto dal
possente coro dei clienti del bar.
"Qual è
il vostro record di birre?" esordisce Colin ad un certo punto. Noi ci
guardiamo e rispondiamo umilmente, sapendo benissimo che verremo seppelliti
dalla sua risposta. E infatti così è. "Io il mio record l'ho stabilito
ieri" prosegue mentre Ed se la ghigna tirando fuori il cellulare e
mostrandoci una foto della sera prima. "Quattordici pinte in sette
ore". Impressionante. Non so come facciano. Nella mia mentre si forgia una
battuta che però non proferisco. Un bel Guinness. Ora capisco, in ogni caso,
perchè Colin che dice di avere ventisei anni fisicamente sembra che ne abbia
dieci in più.
Verso le due
usciamo dal locale mentre i nostri due amici rimangono a farsi qualche
bicchiere della staffa(!). Fuori la pioggia è nebulizzata, si ferma sugli
occhiali creando la nostra piccola discoteca personale. Io comincio a correre
nella notte cercando di smaltire l'alcol, corro in salita con tutto il fiato
che ho finchè sparisco, esco dal cono di luce dei lampioni e mi ritrovo
nell'oscurità completa.
Rientriamo in
ostello. Tu vai a dormire diretto, mentre io mi addormento per una buona
mezz'ora sulla tazza del cesso. Di stare disteso proprio non se ne parla. Poi,
quando ho preso abbastanza freddo e mi sento un po' meglio, mi avvio anch'io
verso la camera, ma era uno scherzo, ancora non ce la faccio. Allora mi siedo a
lato della porta, gambe lungo il corridoio, e mi metto a dormire lì. Un'ora
dopo sento dei passi. Mi sveglio e vedo i miei nuovi amici che stanno
rientrando nella camera di fianco alla nostra e mi guardano con aria
interrogativa. "It's all right, guys. Goodnight" dico sfoggiando un
sorriso di cartone. Loro entrano ed io mi riaddormento. Verso le quattro mi
alzo e vado a godermi il mio meritato sonno in cima al letto a castello.